Eravamo immortali. La storia di due amici/avversari nell’Italia del ’900

Luigi Oliveto

21/09/2023

C’era una volta l’Italia del Novecento: fascismo, seconda guerra mondiale, resistenza, repubblica, opposte ideologie, padroni e operai, conquiste, consumismo, contestazione, benessere per tutti (o quasi). È in questa Italia, lungo l’arco di sessant’anni, che si svolge la vicenda raccontata da Marco Cassardo nel romanzo “Eravamo immortali” (Mondadori). Bella storia e bell’afflato narrativo per un racconto che sa mutare in epica ordinarie storie di vita. Il libro si apre nella Torino del 1939, nel clima concitato di una gara ciclistica per dilettanti, il Gran Premio Fiat, con i migliori corridori di Piemonte, Liguria, Lombardia. Ragazzi di gamba forte, alcuni già pronti per più frondosi allori, come “Lampione azzurro”, un tizio ossuto, tosto e un po’ sbruffone. È una calda domenica di aprile. Tifoserie eccitate nei pronostici. Nervosismo, smargiassate e punzecchiature alla partenza. In gioco ci sono dieci posti per partecipare ai mondiali di Vienna. Il percorso è di quelli da far schiantare il petto: “Quel giorno erano partiti da Chivasso direzione Sassi, poi la salita a Superga, cinque chilometri di sterrato da spezzare le reni. Una volta in cima, sarebbero scesi in picchiata fino a Gassino, svolta a sinistra e nuovamente a Sassi per risalire alla basilica; un inferno da ripetere tre volte, novanta chilometri che avrebbero eletto il più forte”. Quando “Lampione azzurro” in tutta scioltezza si staccò dal gruppo, non ci fu storia per nessuno. Molto indietro, a contendersi il secondo posto restarono Aimon Ferdinando, detto Nando e Stefano, detto Steu, due diciannovenni dei quartieri popolari di Torino. Per pochi centimetri Steu l’ebbe vinta su Nando. Ad aspettarli, seduto sulle scale della basilica trovarono “Lampione azzurro” che da cinque minuti aveva tagliato il traguardo. Quando fu chiamato per ritirare la coppa, tutti sentirono dagli altoparlanti il suo vero nome, Fausto Coppi. Da allora e per sempre, Stefano e Nando saranno amici e avversari, come se il ricordo di quella sfida sulla salita di Superga fosse diventato stigma al loro legame. Amici, ma perennemente contrapposti: in politica, sul lavoro, nelle scelte di vita, fino a mettere in crisi la loro stessa amicizia. Sono loro gli “immortali” di questo avvincente romanzo sui destini individuali e collettivi, sulla storia da cui siamo appena venuti. Era solo l’altro secolo.
 
***
 
[…] La basilica, intanto, è sempre più grande. Ora un breve tratto di discesa, poi toccherà agli ultimi due chilometri emettere il verdetto. Ferrero prova a rientrare, ma la stanchezza gli ha offuscato la mente e sbanda, i piedi a terra per evitare la caduta. Niente da fare, i morti non resuscitano.
Steu sa di non essere uno scattista, quante corse perse in volata per una manciata di centimetri, quante maledizioni la domenica sera a tavola con mamma e papà e Rina in silenzio ad ascoltarlo. Non può permettersi di aspettare gli ultimi metri. Se vuole arrivare secondo dietro al Lampione azzurro ed essere il primo degli umani, deve provare a staccarli. Nando non tira un metro, sempre dietro a succhiare le ruote a lui e a Raviola; se fa così, delle due l’una: o è al limite, o sa di essere veloce e confida di spuntarla allo sprint.
Ancora un chilometro e mezzo. Steu decide di rompere gli indugi, respira profondo, beve dalla borraccia e poi la getta a terra, anche duecento grammi in meno possono fare la differenza. Infila un rapporto più corto per guadagnare in agilità, si alza sui pedali e parte all’attacco. Ondeggia come solo i grandi grimpeur sanno fare, una danza sensuale che fluttua tra la ghiaia e i rododendri del bosco attorno. Imprime un’andatura disperata, o la vita o la morte. Raviola perde un metro, due, tre, Raviola è schiantato. Aimon Ferdinando detto Nando no, maledetto. Spinge e digrigna i denti, rimane incollato, gli pedala mezzo metro dietro, la ruota anteriore quasi a sfiorare i suoi pedali. Ora non sta più in scia, è una prova di forza, un modo per dirgli che sarà la sua ombra. All’improvviso Steu si risiede: prende fiato o non ne ha più? Nando non capisce, rallenta anche lui. Poi decide, si alza e scatta, vuole lasciarlo sul posto, dimostrare che tra le maglie bianche dei migliori dilettanti italiani poteva esserci anche la sua. Non ha colpe se il suo capitano l’ha sempre tenuto al guinzaglio. Sfreccia in faccia a Steu, si arrampica con una leggerezza difficile a immaginarsi in quelle cosce di quercia. Steu è chino sul manubrio, lo sforzo precedente sta presentando il conto.
Ecco l’ultimo tornante a sinistra, questa volta non si scollinerà per scendere a Torino, ma ci saranno da affrontare gli ultimi settecento metri che portano alla basilica. Nando disegna la curva, poi si risiede, non sembra in grado di proseguire l’attacco. Steu non molla, è a un paio di metri. La folla attorno urla e agita i pugni e si sporge sulla strada, tifano tutti per lui, come si permette quel tipo mai visto di mettere alle corde il miglior scalatore piemontese?
Steu non è tipo da moine, il Partito comunista gli ha insegnato disciplina e morigeratezza, quando vince si limita ad alzare la mano, un movimento breve e pudico, ma ora non può tradire tutta quella gente che sta bestemmiando perché si riporti sotto. Gli resta una possibilità: non respirare per i prossimi quattrocento metri e dare fondo a tutto ciò che è rimasto nei muscoli e nell’anima. Si alza sui pedali e inizia a spingere. Spinge con la schiena e le braccia e il collo, riprende Nando, lo affianca, ora sono spalla a spalla, all’arrivo mancano trecento metri. I due dondolano sulla bici e nella loro asimmetrica oscillazione le teste vanno quasi a sfiorarsi, visti di fronte sono un’unica creatura di carne e acciaio con due buchi al posto delle bocche. Rallentano, la calca stringe, gli addetti alla sicurezza levano i manganelli per tenere alla larga i più scalmanati.
Ancora un tratto di rettilineo, poi una lieve curva a destra. La coppia, ora, procede perfettamente appaiata. Quando la strada devia, all’arrivo mancano solo cento metri. La creatura a due teste sobbalza, non solo bocche e ruote, ma anche braccia che mulinano. Il doppio dondolio aumenta, sembrano entrambi sul punto di finire a terra, Steu sgomita, Nando replica, le tempie cozzano, Nando quasi incorna la spalla di Steu, Steu si divincola, è una lotta senza esclusione di colpi. Dieci metri all’arrivo e sono ancora incollati, cinque, tre metri, colpo di reni di Steu, Nando rialza il busto, Steu taglia il traguardo con una decina di centimetri di vantaggio. I due ragazzi si gettano sul manubrio, i corpi stremati sussultano sulla canna. Un capannello di massaggiatori e dirigenti li tiene in piedi. Dopo qualche minuto Steu lascia la bicicletta a Musso. Musso lo bacia e gli dice: «Hai fatto un capolavoro». Ma Steu non ascolta, cerca Nando. Lo vede qualche metro più in là, un asciugamano a coprirgli il capo, la bocca ancora aperta. Si avvicina e quando è a un passo gli dice «Bastard».
Nando fa una smorfia che potrebbe essere fatica o un sorriso. Non risponde. Steu annuisce come per dire ci rivedremo, la nostra guerra è appena iniziata, si volta e se ne va.
Intanto, seduto sui gradini della basilica, il Lampione azzurro sta discorrendo con uno degli organizzatori, se ne sta con i trampoli accavallati e le braccia conserte. Vede Steu andargli incontro, si leva il berretto e si alza in piedi per rendergli onore. È arrivato cinque minuti prima, ma pensa che se tutti i giovani avessero l’orgoglio di quel ragazzo biondo l’Italia non sarebbe in mano agli squadristi.
Steu lo guarda fiero dal basso verso l’alto.
Il Lampione azzurro gli tende la mano e si complimenta: «Brau, continua a spingere così».
Steu ringrazia, è felice, Vienna lo attende. Gli chiede dove correrà la prossima stagione. Il Lampione azzurro alza le spalle, «Vai a sapere».
L’altoparlante li interrompe, «Fausto Coppi è atteso sul palco per la consegna della coppa». Lo speaker alza il volume, dice che quel corridore di Castellania è destinato a riscrivere la storia dello sport.
Coppi ride, «Esageruma nen».
 
[da Eravamo immortali di Marco Cassardo, Mondadori, 2023]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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