Il tema di Francesco, studente dell’Istituto di Istruzione Superiore Sallustio Bandini di Siena
Epidemia e pandemia, due termini che a noi giovani sembravano fino a poco tempo fa così lontani, sono oggi diventati tragicamente noti perché la malattia che essi indicano, il Covid-19, ha stravolto completamente la vita delle persone in tutto il mondo. Un senso di impotenza, paura e alienazione ha pervaso rapidamente le nostre case e le nostre città, costringendoci a modificare radicalmente le nostre abitudini e rendendo pericolosi anche luoghi che fanno parte della nostra quotidianità come parchi e supermercati. In Italia, almeno fino a febbraio di quest’anno, forse perché incuranti di quello che accadeva nel resto del mondo, siamo riusciti a conservare per un certo tempo, un clima di apparente tranquillità e ottimismo, immemori che nel corso della storia l’avvicendarsi delle epidemie ha decimato più volte la popolazione del nostro Pianeta.
La prima epidemia/pandemia ufficialmente riconosciuta e registrata fu la peste bubbonica o peste nera proveniente dall’Asia che, a partire dal 1346, si diffuse in tutta Europa uccidendo circa un terzo della popolazione (si parla di venti milioni di morti) e diede spunto a Boccaccio per scrivere la sua opera più famosa, il Decameron. Anche Siena, nel suo piccolo, pagò il suo tributo di perdite umane a questo terribile e incurabile flagello con migliaia di vittime e, solo per dovere di cronaca, a causa della peste furono interrotti i lavori per la costruzione di quello che avrebbe dovuto essere il Duomo più grande d’Italia. Nel corso dei secoli non sono poi mancate epidemie di tifo, colera, vaiolo ma, a quei tempi, le condizioni igieniche erano inadeguate e l’alimentazione della maggior parte della popolazione poco nutriente a causa delle guerre e delle carestie: tutto ciò rendeva facile il dilagare e la ripresa di questo genere di malattie, tanto che, ad esempio, nel 1630 si ripresentò la peste bubbonica, descritta in modo magistrale nelle pagine dei Promessi Sposi da Alessandro Manzoni.
Nel XX secolo grazie allo sviluppo della società di massa, dei mezzi di trasporto e dei mezzi di comunicazione, si è permesso anche alle epidemie di sportarsi più efficacemente: parliamo della cosiddetta “febbre spagnola”, il cui diffondersi fu aiutato dalla concomitanza degli eventi bellici della Prima guerra mondiale. All’influenza fu dato questo nome poiché la sua esistenza fu riportata dapprima soltanto sui quotidiani spagnoli in quanto la Spagna non era coinvolta nel conflitto e la sua stampa non era soggetta alla censura. Provocò circa 25 milioni di vittime, anche se alcuni virologi ne hanno stimato addirittura un numero quadruplo: praticamente parliamo del 6% della popolazione mondiale del tempo.
Nel secondo dopoguerra, poi, fu la volta dell’influenza asiatica di origine aviaria, proveniente dalla Cina mentre, in tempi più recenti, nel 1981, si propagò in maniera esponenziale in tutti i paesi del mondo l’epidemia di Hiv/ AIDS.
I giovani come me che fanno parte della generazione di Internet, dei telefoni cellulari, di Google e delle connessioni a banda larga, hanno sicuramente ascoltato il racconto dei genitori vissuti intorno agli anni ‘90/2000 e riguardanti la paura causata dalla “SARS”, una malattia respiratoria causata da coronavirus, o dall’influenza suina che, normalmente non colpisce gli esseri umani, ma solo i maiali provocando chiare conseguenze economiche.
Arriviamo così ai giorni nostri: l’11 Marzo 2020, il Covid-19 è stato ufficialmente riconosciuto come pandemia perché non c’è luogo in tutto il mondo in cui esso non si sia propagato causando milioni di morti, ma già molti mesi prima, precisamente a fine dicembre, si è cominciato a parlare di questa malattia proveniente ancora una volta dalla Cina. Intere nazioni sono state costrette a sbarrare le frontiere e i porti, mentre nelle città hanno chiuso negozi e fermato l’attività di produzione di tante imprese per impedire il contagio. Anche l’Italia ne è stata investita in pieno e non ha risparmiato nessuno, dai più giovani ai più vecchi. Dopo un primo momento di negazionismo, dove quasi tutti noi non avremmo mai creduto alle conseguenze che viviamo oggi, la nostra penisola è stata colpita dal panico, fomentato dai social network, “fake news” e notizie allarmanti.
Ora viviamo in un momento di attesa, dove finalmente l’Italiano ha capito di avere in mano le sorti della propria vita e di quelle del resto del paese. Dopo i primi giorni di crisi la vita sembra essersi tranquillizzata e chiunque come può cerca di dare colore e il proprio piccolo contributo alla “quarantena”: flash mob, gente che canta, chi passa del tempo con la propria famiglia, insomma siamo tutti un po’ più uniti.
Anche le notizie circa la fine del virus sono incerte e nessuno sa davvero quando potremo mettere il naso fuori dalle nostre abitazioni, giocare con gli amici, vedere le nostre dolci metà e ritornare alla noiosa vita di cui ci lamentavamo ogni giorno. Un ringraziamento speciale va a tutto il personale sanitario, medici ed infermieri, sempre in prima nella lotta per sconfiggere questo virus, quando tutto questo sarà finito, mi auguro prima possibile, tutti ci dovremo ricordare di questi eroi.
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