Elena di Sparta e le sue ragioni nel romanzo d’esordio di Loreta Minutilli

Luigi Oliveto

18/04/2019

Per niente facile chiamarsi Elena di Sparta, essere bellissima, causa di una guerra, portatrice di una colpa e non aver mai potuto dire ciò che realmente pensasse (nell’Iliade ben poche sono le sue parole). A darle finalmente voce ci ha pensato Loreta Minutilli con il romanzo d’esordio “Elena di Sparta”.  Ecco allora una Elena che può uscire dal proprio corpo, dal proprio mito, raccontarsi. Comincia giustappunto dalla sua bellezza che, fin dall’infanzia, da una parte la lusingava, ma dall’altra la rendeva ‘diversa’, più oggetto da ammirare che persona da amare. Tanto per fare un esempio: nel paragone con la brutta sorella Clitennestra non c’era gara, però era la sorella la più amata dai genitori. Condannata ad essere bella, Elena si chiede: «Se la bellezza era davvero potere, perché non potevo far nulla senza consultare qualcuno che fosse sopra di me? Non riuscii tuttavia a maledire la mia bellezza. Non lo feci mai. Mi piaceva essere bella e non mi biasimo per questo. Qualsiasi ragazza al mondo, allora come oggi, avrebbe venduto la propria anima pur di essere me.» Anche a proposito della sua colpa – l’abbandono del marito Menelao per seguire Paride – Elena chiarisce la scelta fatta. Non fu fuga d’amore, ma, piuttosto, desiderio di emancipazione. Pensava che trasferirsi a Troia le permettesse di esprimersi meglio, di esistere veramente, di essere ascoltata. Del resto era la città in cui le donne contavano quanto gli uomini, potevano addirittura scegliersi i mariti. Solo dopo constaterà che il suo parere non è richiesto nemmeno lì. Ancora una volta dovrà tacere. Ma quando, trascorsi dieci anni, Menelao la va a riprendere e le chiede come mai avesse deciso di scatenare una guerra – da qui muove il romanzo di Loreta Minutilli – lei inizia a raccontare. Non per giustificarsi, non per chiedere comprensione o avanzare pentimenti. Lo fa per sé stessa, per liberarsi da come gli altri l’abbiano sempre vista e voluta. E così mettersi in pace, anche con la sua bellezza.
 
***
 
Il conflitto esiste da quando esisto io.
Da quando riesco ad avere ricordi, ci sono sempre state nella mia vita lunghe dita bianche che mi accarezzavano il mento e voci di miele e d’ombra che mi chiedevano se fossi più dea o bambina. Non che i miei ricordi determinino la linea del tempo.
Tutto è cominciato molto prima, dicono, con un uovo d’oro nel ventre di una donna incinta e un corteo di gente bardata a festa per poter vedere me, la bambina più bella del mondo.
Quando ero piccola credevo ciecamente alle leggende che mi raccontavano le ancelle e mi domandavo come avesse potuto mia madre restare intatta con tutto quel caos nella pancia: un uovo, quattro bambini, seme di dio, seme di uomo. Doveva essere stata un’esperienza devastante, eppure quando la vedevo, era sempre beata e felice, in estasi, con i suoi figli, i due divini da una parte e i due umani dall’altra.
La netta divisione è arrivata un attimo dopo la nostra nascita. Una bambina divina, una bambina umana. Un bambino divino, un bambino umano.
All’inizio ero convinta che avessero visto qualcosa nei nostri occhi, nelle grinze della nostra pelle neonata, che avessero udito un suono rivelatore nel nostro vagito che indicasse che io e Polluce non potevamo appartenere a questo mondo.
Adesso, invece, mentre il mondo mi si disfa sotto gli occhi, non credo che le ragioni della loro scelta siano state così profonde. Hanno preso i due bimbi più belli e li hanno resi dèi.
L’idea mi appare ridicola e inverosimile, ma allora mi riempiva di gioia purissima.
Non essere troppo duro nel giudicarmi.
A quale bambina non piacerebbe essere trattata come una dea?
[…]
La bambina più bella del mondo diventò la ragazza più bella del mondo quasi di colpo, da un mattino all’altro. Mi si allargarono i fianchi, i miei glutei divennero più tondi, mi crebbero sul petto due morbide colline bianche della forma e delle dimensioni giuste per stare nel palmo di una mano.
Appena sveglia mi specchiavo, controllavo ogni cambiamento del mio corpo e me ne compiacevo. Di sottecchi scrutavo poi le gambe di Clitennestra, disgraziatamente coperte di una ispida peluria bionda.
Mi compiacevo anche di quello.
Cattiva? No, non lo ero, non tollero che si dica questo di me ragazzina.
Se penso a me e a mia sorella, ora come allora, mi pare evidente che lei ha sempre avuto tutto e io non ho mai avuto niente.
All’età di undici anni non ero capace di far nulla, avevo il cervello d’una mosca, mia madre non osava avvicinarsi a me e si limitava a guardarmi da lontano. Clitennestra invece sapeva filare, guidava con carisma i giochi che faceva con le altre bambine del gineceo e nostra madre la abbracciava di frequente.
L’unica cosa che io avevo e di cui lei era priva erano un paio di gambe lisce e bianche e un bel visino.
Lascia che me ne compiaccia.
Il primo sangue arrivò per entrambe durante una notte estiva. Al risveglio, mia sorella, impassibile, fece le sue abluzioni, come se fosse preparata da lungo tempo a quell’evento. Io restai immobile tra le lenzuola rosse. Temevo di scoprire una ferita che avrebbe deturpato le mie cosce per sempre. La nutrice mi trovò così, sorrise, mi spiegò che non c’era nessuna ferita e che dovevo andar fiera di esser diventata una donna.
«Ora il tuo corpo ha un senso», disse.
Mi interrogai a lungo sul significato di quella frase.
Non credevo di aver bisogno di un po’ di sangue tra le gambe per avere un senso.
Per me, il mio corpo ne aveva sempre avuto.
Mi donava soddisfazione immensa e mai e poi mai avrei voluto dividerlo con qualcuno, mai avrei pensato che il senso del mio corpo potesse essere quello di dare piacere ad altri.
 
[da Elena di Sparta di Loreta Minutilli, Baldini+Castoldi, 2019]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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