Sono sempre più numerose le manifestazioni di design nel mondo: Milano, Melbourne, New York, Colonia, Copenhagen e molte altre città ancora ospitano annualmente grandi esposizioni che richiamano appassionati, studiosi, designer, ma anche aziende e istituti universitari per confrontarsi su stile, sperimentazione e nuove tendenze. Ma quanto lavoro richiede la progettazione di prodotti o prototipi da esporre e qual è il tipo di ricerca che rende un progetto adeguato a un'esposizione in grado di raccogliere professionisti da tutto il mondo? Lo abbiamo chiesto a
Mirko Tattarini, designer e docente di Design strategico presso il biennio specialistico di ISIA Firenze, responsabile Hyde Lab e del Progetto per il Fuorisalone di ISIA Firenze.
Mirko, come nasce un progetto per partecipare a grandi eventi come il Fuorisalone di Milano?
Se il progetto è “un atto di guerra, non un armistizio con la realtà” (
Enzo Mari), la design week è indubbiamente un campo di battaglia. Talvolta in territorio ostile. In termini generali, l’esserci è la legittimazione del fare parte di un sistema. Le regole d’ingaggio sono particolarmente aspre. Trattandosi di oltre 800 eventi, 1380 designer e 1061 brand (dati 2022) si parte da un quesito piuttosto semplice: perché stampa e visitatori dovrebbero interessarsi proprio al nostro progetto? Da qui inizia un percorso di progettazione dei contenuti in termini culturali, naturalmente, ma anche strategici e tattici nella loro messa a terra. Per un Istituto di alta formazione si tratta poi di esibire un manifesto della propria visione e legittimarne la qualità attraverso i progetti esposti. Quest'anno ISIA Firenze parteciperà per la quarta volta, quinta se si considera la presenza a Expo 2015: nelle due ultime edizioni, entrambe fortemente supportate dalla Direzione, c'è stata anche una significativa collaborazione interna all'Istituto, in particolare con i corsi di Fashion Design, tenuto da
Veronica Bogao, e di Editoria Digitale, tenuto da
Francesco Bonomi. Il processo di elaborazione del progetto per il Fuorisalone 2023, è iniziato già durante la precedente edizione, quando gli stimoli ambientali, i feedback e gli eventi globali mi hanno praticamente costretto a definire il concept, poi proposto agli organi dell’Istituto e avviato nell’implementazione a partire dallo scorso ottobre.
Qual è il tipo di didattica che occorre mettere in essere in aula per preparare gli allievi a partecipare a un'esposizione di design?
Qualche tempo fa, all’interno di una presentazione redatta per vendere un progetto di ricerca a potenziali sponsor, mi sono inventato la formula “Research by Challenge”. Oltre l’intento ammiccante e il registro vagamente epico, mi sono reso conto che la dicitura riassume proprio l’approccio didattico che teniamo nella conduzione di queste avventure. Ricerca (nella progettazione) attraverso sfide reali e di alto profilo. Per gli studenti si tratta di un significativo cambio di prospettiva che muove dall’aula di esame, ambiente comunque protetto e riservato, all’arena dell’evento di design più importante al mondo. Fuori dalla comfort zone cambiano le responsabilità, i rischi ma anche - e tanto - la motivazione e l’impegno. Laddove generalmente il mandato per gli studenti ha caratteristiche di design speculativo - quindi della definizione di un futuro attraverso gli oggetti - il percorso prevede una fase di lezioni frontali che sedimenti una piattaforma di conoscenza comune, successivamente si alternano casi di studio (progetti che comunque hanno incluso una partecipazione al Fuorisalone) alla definizione dei concept individuali. Dal concept in poi si procede per revisioni di sviluppo del progetto, dove la discussione sugli avanzamenti diviene pretesto per approfondimenti e sortite, anche di natura teorica.
L'anno scorso hai partecipato con i tuoi allievi al Fuorisalone 2022: com'è stata questa esperienza?
Ogni volta la mia esperienza al Fuorisalone come responsabile e docente è più stimolante di quella professionale come designer. La sperimentazione consentita dalla ricerca, lo sguardo nuovo, l’essere partecipe di un’esperienza che per molti rappresenta un passaggio, per altri sarà un unicum, sono il tenero espediente che rende sopportabile quel lieve senso di nausea che il troppo design e i troppi sorrisi possono determinare. Quindi sì, è stato bello, è stato divertente, spero per tutti loro sia stato memorabile. Sembra impossibile, ma ho visto alcuni di loro crescere anche nel tempo di quella sola settimana, ho visto le narrative rivelarsi compiutamente, barriere rompersi e una giornalista, appena informata dei temi del nostro progetto, chiamare il fotografo dicendo: “Vieni, qui c’è contenuto…”.
Puoi svelarci qualche particolare sulla partecipazione al Fuorisalone 2023?
Stiamo conducendo un progetto sperimentale con un partner industriale, Formitalia Luxury Group (azienda licenziataria di importanti marchi tra cui Aston Martin Interiors, Tonino Lamborghini, ecc.), che prevede l’hackeraggio di un loro modello esistente da parte degli studenti. Nello specifico 14 poltrone, ripensate da altrettanti studenti e laureandi, secondo un’ispirazione legata alla prospettiva Solarpunk e dentro registro temporale di Design/Climate Fiction. Design Fiction è esattamente il titolo della nostra installazione che sarà realizzata presso lo spazio Atelier di Superstudio-Più. Accettata l’insostenibilità connaturata alla disciplina del design (almeno nella sua prima istituzionalizzazione), consideriamo che l’estensione del ciclo di vita degli oggetti, a partire dalla loro concezione, sia la chiave primaria per iniziare a scrivere una seconda storia del design. Solo così possiamo intervenire nella filiera profonda del sistema prodotto e tornare ad esportare nel futuro buona cultura materiale, anziché solo rifiuti. "Hackerare un oggetto" significa interpretarlo diversamente da quanto previsto dalla sua prima progettazione, svelarne le opzioni, ampliarne l’orizzonte d’uso, quindi allungarne la vita sconfiggendo l’obsolescenza percepita, quella stessa che porta a dismettere cose che molto avrebbero ancora da dare. Con questo progetto promuoviamo una generazione di arredi non definitivi, aperti e pronti ad essere interpretati, anche nell’uso. Si tratta di “Elevare l’indecisione fino a conferirle dignità politica. Porla in equilibrio col potere”,
Gilles Clément, Manifesto del Terzo Paesaggio. Lunga vita al cambiamento. Lunga vita col cambiamento.
Solarpunk e Design Fiction?
L’incertezza è probabilmente il senso che maggiormente informa lo zeitgeist del nostro tempo. Se il design è prefigurazione (corredata di istruzioni, di ciò che sarà ma non è ancora), allora ancor più difficile è praticarlo in tempi di incertezza. Lo sforzo progettuale necessita quindi di costrutti metastorici capaci di definire uno scenario, di rilevare le caratteristiche di un futuro più desiderabile per cercare poi di ottenerlo -anche- attraverso il design. È uno sforzo di Design Fiction che, attraverso la proposizione di oggetti all’interno di uno scenario meta-storico, intende stimolare l’attivazione cognitiva per trasferire rapidamente la conoscenza e creare un'esperienza di trasformazione, provocare energia, e innescare un cambiamento. Tra le metastorie possibili abbiamo identificato la prospettiva Solarpunk, movimento culturale che promuove una visione attiva e progressista del futuro, fatta di ambienti in cui la tecnologia consente all'umanità di coesistere meglio con se stessa e il suo ambiente. Devo dire che la letteratura di riferimento è zeppa di ingenuità ed estremismi
veggie che non riesco a condividere. Ma proprio per questo è opportuno intercettare il fenomeno e avere parte in causa nel suo sviluppo estinguendo il rischio di quelle derive narrative neo-complottiste, insopportabili per quanto illogiche, che già in tempi di pandemia ci siamo dovuti sorbire.
Presso ISIA Firenze sei docente di Design strategico: che cos'è e in quali ambiti si esplica?
Questo è interessante. Potrei dire che si tratta di una reinterpretazione della disciplina che supera le caratteristiche di autorialità per calarsi appieno nel sistema prodotto per afferire non solamente ai prodotti, ma ai servizi che ne completano l’esperienza e alle strategie (commerciali, tecnologiche e sociali) che stanno a monte. Potrei. Ma potrei anche rimandare alla definizione dell'Enciclopedia Treccani, secondo cui "L’espressione design strategico rappresenta un problema, un sistema aperto che include diversi punti di vista, modelli interpretativi articolati e varie prospettive disciplinari [...]." (
https://www.treccani.it/enciclopedia/design-strategico_%28XXI-Secolo%29/)
Per quanto riguarda gli ambiti in cui si esplica, beh, laddove il design è un metodo, allo stesso modo il design strategico spazia ovunque sia necessaria progettazione, dalle industrie creative alle politiche pubbliche. In effetti ho personalmente sperimentato - forse con un certo successo - l’applicazione di questo metodo anche alla gestione di progetti europei, nello specifico quando mi è capitato di dirigere la costituzione e la messa a regime del Gaziantep Design Center - GETHAM. Però ecco che il senso di incertezza si ripropone sotto forma di catastrofe. Quelle stesse città che costituivano l’orizzonte geografico del progetto sono state devastate dal terremoto che pochi giorni fa ha squassato Turchia e Syria. Quelle stesse persone destinatarie del nostro fare design - compresi molti profughi siriani - nel migliore dei casi ora hanno altro a cui pensare. Mi permetto quindi di invitare chi ha avuto la pazienza di leggere fin qui, a passare anche da questo link:
https://ahbap.org/disasters-turkey e valutare l’opportunità di effettuare una donazione, in barba al metodo.
Mirko Tattarini è nato e cresciuto sul Monte Amiata, un’enclave naturale unica situata nel Sud della Toscana, terra di visionari e personalità anarchiche. Negli anni ‘80 è stato atleta di sci alpino nei circuiti nazionale e internazionale, per poi praticare atletica leggera nelle discipline veloci (il suo 10:60 sui 100m piani, è tuttora miglior prestazione juniores in Toscana). Successivamente ha intrapreso gli studi di Design presso l’ISIA di Firenze e al Minneapolis College of Art and Design in USA. Nel 1996 ha conseguito la laurea e dal 1998 è divenuto docente ISIA (primo ex studente), dove continua a insegnare tutt’oggi come docente di Design strategico al biennio specialistico Fondatore di MRK Design Studios, ha viaggiato e lavorato come designer ed esperto di sviluppo internazionale in oltre 50 paesi tra cui Bulgaria, Canada, Cabo Verde, Cina, France, Germany, Giappone, Georgia, Grecia, Israele, Kosovo, Kuwait, Lebanon, Malta, Morocco, Portogallo, Qatar, Romania, Serbia, Syria, Tunisia, Turkey, UAE, UK, USA.Mirko ha pubblicato numerosi scritti tra cui nel 2005 il libro "Digital Medina", dove tra gli altri è compreso il contributo di Arthur Kroker, Derrick de Kerckhove, Giuseppe Furlanis e nel 2018 il libro “Getham Codex, a material culture toolbook”. I suoi progetti sono stati trattati da numerosi media nazionali ed internazionali.
LINK UTILI
www.formitalia.it
https://www.superstudiogroup.com/
https://www.fuorisalone.it/
http://www.mrkstudios.it/