Delio Tessa, così antico così moderno

Luigi Oliveto

01/12/2017

Quand’è che Milano e più Milano che mai? Non c’è dubbio, nei primi giorni di dicembre: allorché i primi freddi, la nebbia, le precoci sere avvolgono la città e il suo modo “d’essere Milano”. Le vie del centro si infittiscono di gente, il cielo si fa basso. Chi può permettersi allegria la scoppietta in qua e là, chi non ne ha motivo passa svelto di ombra in ombra. E’ questo il tempo in cui la città pare rivelare meglio la propria memoria, il tempo andato, un racconto da ascoltare necessariamente in dialetto. Perché se i milanesi discorrono in meneghino, risultano arguti, imaginifici, ironici; se lo fanno in italiano, appaiono fatui e supponenti. E se diciamo dialetto milanese, è inevitabile non ripensare ai versi di Delio Tessa (1886-1939), grande poeta dialettale (e forse già questa definizione è limitante) che, con estremo disincanto, seppe raccontare la quotidianità, le pochezze umane e i loro cupi destini. Lo fece, appunto, usando il dialetto e – come scrive Franco Brevini in “Poeti dialettali del Novecento” – aggiornando “perentoriamente la poesia dialettale al più corposo espressionismo”. Ecco così il dialetto piegato a una lingua poetica disgregata, a momenti spiazzante, ma bene sfruttata in tutto il suo potenziale sonoro. “La più tipica operazione della poesia di Tessa – afferma ancora Brevini – consisterà nell’esporre una materia tradizionale, ottocentesca, vernacolare alle ustioni del presente, istituendo la caratteristica tensione, che sconcerta i suoi lettori, tra gli ingredienti e il loro trattamento”.
 
 
[…]
Nebbia! Nebbia ven su! vólzet fumeri
di riser, di marscit! Nebbia ven su!
Tra el Redefoss, el Lamber e l’Olona,
scigheron della bassa,
impattònom Milan, sfóndomel sott!
Sira del mila e vott!
Dal Liron, dai Quadronn, dalla Coronna,
dal Carrobi, dai Fior
salten foeura de pianta
el Bongee con la donna, la Tetton,
la Firisella, el scior
Marchionn, la mora del sciall giald... allon,
allon... sur abadin,
al cors, al Teatrin!
alla Scara al Promètich, alla Scara
sur Giovannin! Allon,
la risottada al Carchen, a velion,
a velion!... armandolin, legrij
chitar e cottarij!... Scolta, zion.
L’è la nostra Milan
veggia – tiremm el fiaa –
l’è la nostra Milan, zion, che canta
e che sona e che balla a carnevaa!
In fuga per i straa,
dent per i boeucc, can-can,
baracch e luminari... e la Tetton
la balla cont el sciàbel,
e l’abadin el petta i onc sul gnàbel,
fin che ven giò el sipari... e ven mattina!
 
... Foeura ona nebbiolina
grisa la slisa via
all’alba che la spiora...
... avemaria!... l’è l’ora
smorta di primm campann... – San Semplician,
Capp Sant al Domm... – l’è l’ora
trista di mascarott ùltem che sguazza...
– Sant Eustorg... San Babila... – Milan
ecco la se desmorba
foeura – ... San Sebastian –
Fiòcchen i pret in Piazza
pel traffecch di agonij – ... Sant Alessander –
pioeuven dalla campagna in cattabrega
bonz e navasc... t’è chì! ... dèrven bottega
intorna, mètten banca!
[…]
 
 
Nebbia! Nebbia, vieni su. Alzati, fumea delle risaie e delle marcite! Nebbia vieni su. Tra il Redefossi, il Lambro e l’Olona, tu, nebbione della Bassa, avvolgimi Milano nella tua coltre, sprofondamelo sotto! Sera del milleottocento... Dal Nirone, dal Quadronno, dalla Corona, dal Carrobbio, dai Fiori saltano fuori, vivi, il Bongee con la moglie, la Tetton, la Firisella, il signor Marchionn, la mora dallo scialle giallo... allons, allons signor abatino, al passeggio, al teatro!; alla Scala al Prometeo, alla Scala, signor Giovanni!; allons, la risottata al Càrcano, a veglione, a veglione! mandolini, allegrie, chitarre e liete brigate!... Ascolta, zione. È la nostra Milano vecchia – tiriamo il fiato – è la nostra Milano, zione, che canta e che suona e che balla a carnevale! In fuga per le strade, dentro alle bettole, balli, bisbocce e luminarie... e la Tetton balla con lo storpio, e l’abatino ficca le unghie sul bel pomo, finché cala il sipario... e viene mattina! ... Fuori una nebbiolina grigia si dirada, allo spiare dell’alba... avemaria! è l’ora smorta delle prime campane... San Sempliciano, Camposanto al Duomo... è l’ora triste delle ultime maschere che sguazzano... Sant’Eustorgio... San Babila... Milano ecco si rianima... San Sebastiano... Fioccano i preti in Piazza per il traffico delle agonie... Sant’Alessandro... piovono dalla campagna, in confusione, carribotte e bigonce... to’!... aprono bottega tutt’attorno, mettono giú i banchi! Milano riprende vita, si sveglia!
 
[versi tratti da “A Carlo Porta”, in L’è el dì di Mort, alegher! De là del mur e altre liriche, a cura di Dante Isella, Einaudi, 1985]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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