Ha fatto scalpore, qualche mese fa, la notizia che i cinesi avessero allestito un ospedale in tempi da record per far fronte alle esigenze di posti letto per i malati di coronavirus nella città di Wuhan. Ma non sono stati i primi. Nel 1767 durante una delle tante epidemie che circolavano in Italia e in Europa, gli organi sanitari del Granducato di Toscana cominciarono ad organizzarsi per una eventuale recrudescenza dell’epidemia (come viene riportato nel libro di Ester Diana “Sanità nel Quotidiano, storie minute di medici, cerusici e pazienti”, Lucio Pugliese editore). Avvicinandosi l’estate si temeva una ricomparsa della malattia e gli organi sanitari del Granducato di Toscana pensarono di porvi un rimedio. Il timore, molto giustificato, era che gli ammalati delle zone intorno a Firenze si riversassero tutti sull’ospedale di Santa Maria Nuova, confermando il detto, un po’ malizioso, secondo il quale “a S. Maria Nuova chi non ha male ve lo trova”, e lo portassero al collasso. Allora si decise di attivare quattro nuovi ospedali decentrati intorno a Firenze: si iniziò con il vecchio lazzeretto di Savignano, poi altre strutture vennero reperite nella villa dei monaci di Badia alle Campora (destinato al ricovero delle donne), nel convento dei padri a Borgo San Lorenzo e l’ultimo ospedale venne allestito nell’oratorio della Madonna del Giglio a Montevarchi. Questi ambienti, vinte le resistenze degli enti proprietari, furono attrezzate di tutto il necessario per il ricovero dei malati nel giro di soli otto giorni.
L’avvento dei Lorena e l’arrivo di una personalità come
Giovanni Targioni Tozzetti, medico, geografo e esperto di problemi agrari, fu fondamentale nel dare una svolta alle iniziative dedicate al miglioramento della salute pubblica e proprio Targioni Tozzetti dirisse l’allestimento delle nuove strutture dando queste direttive: «… i letti non importa che siano tanto dispendiosi (…), un sol buon saccone alla romana pieno di paglia o di scartocci di grano siciliano sarebbe più utile e più salubre assai che le materasse di lana quando si tratta di malattie epidemiche». Anche le strutture metalliche furono costruite con materiale preso nella zona: «Presi del ferro quadro della Magona (la fornace della Magona di Cecina attiva dal 1596 al 1983), lo feci piegare alla giusta altezza – continua a raccontare il Targioni Tozzetti – nelle due estremità… venendo a posare sopra zoccoli di albero semplicemente segate a grissezza capace di poter servire all’uso». In poco più di otto giorni i due ufficiali della sanità, terminato il sopralluogo, dettero il via libera al loro utilizzo e gli ospedali rimasero attivi da luglio a dicembre del 1767. Strutture che avevano sempre come modello Santa Maria Nuova, già presente in Borgo Santa Croce, come ospedale, dalla fine del 1300. Niente di nuovo sotto il sole ieri come oggi, tempi diversi, esigenze diverse, ma la stessa attenzione alla salute del malato.
Articolo pubblicato il 6 maggio su
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