Cecco Angiolieri, "maledetto" ma non troppo

Luigi Oliveto

09/11/2017

Mi è capitato in questi giorni di rileggere i sonetti di Cecco Angiolieri (sarà lui uno dei protagonisti delle prossime Passeggiate d’autore organizzate a Siena da Toscanalibri.it). Figura significativa della tradizione lirico-giocosa, anti-stilnovistica, purtroppo relegato dalla critica romantica in un ‘maledettismo’ che, per quanto suggestivo, ne ha svilito l’importanza letteraria. Ad esempio non si è sufficientemente detto che tutto quel maledettismo (ritenuto frutto di una sorta di autobiografia) rappresentava in buona misura un genere letterario (quello comico-goliardico) che attingeva a una retorica ben precisa e a temi ricorrenti. Può anche darsi che Cecco abbia vissuto in modo irregolare e dissoluto (e qualche documento in proposito esiste) ma i suoi versi rivelano, dal punto di vista letterario, una persona assai colta e raffinata, in possesso di una notevole tecnica compositiva, di un lessico e di una sintassi di prim’ordine. Si tenga dunque conto di questi aspetti anche quando leggiamo, con divertimento, sonetti come quello in cui l’Angiolieri prende per le rime i suoi dichiarati ‘nemici’ (in tal caso tutti e quattro insieme): il babbo, Becchina, l’amore e la mamma. Dice che sono loro ad averlo preso in trappola come un tordo nella siepe. Il padre costituisce una maledizione quotidiana; Becchina pretende da lui cose che nemmeno Maometto riuscirebbe a procurarle con la sua diabolica magia; l’amore lo fa invaghire di ladre che sembrano figlie di Gaetto (un celebre ladro, non si sa se veramente esistito o personaggio leggendario); la madre non lo sopporta al punto che, incrociandolo per strada, gli sibila: va’ via Cecco, che tu possa essere tagliato in due da un colpo di spada”.
 
 
Babb’e Becchina, l’Amor e mie madre 
m’hanno sì come tord’a siepe stretto; 
prima vo’ dir quel che mi fa mi’ padre: 
che ciascun dì da lu’ son maladetto. 

Becchina vuole cose sì leggiadre, 
che non le fornirebbe Malcommetto. 
Amor mi fa ‘nvaghir di sì gran ladre, 
che par che sien figliuole di Gaetto. 

Mie madr’è lassa per la non potenza, 
sì ch’i’ lo debb’aver per ricevuto, 
da po’ ch’i so la sua malavoglienza. 

L’altrier passa’ per vi’e dièll’un saluto, 
per disaccar la sua mal’accoglienza; 
sì disse: – Cecco, va’, che sie fenduto!
 
[da Cecco Angiolieri, Versi, a cura di Gigi Cavalli, Rizzoli, 1984]
 
Torna Indietro
Lascia un Commento

Scrivi un commento

Scrivi le tue impressioni e i commenti,
verranno pubblicati il prima possibile!

Ho letto l'informativa sulla privacy e acconsento al trattamento dei dati personali ai sensi dell'art. 13 D. lgs. 30 giugno 2003, n.196

Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

Vai all' Autore

Libri in Catalogo

NEWS

x

Continuando la navigazione o chiudendo questa finestra, accetti l'utilizzo dei cookies.

Questo sito o gli strumenti terzi qui utilizzati utilizzano cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Chiudendo questo banner o proseguendo la navigazione, acconsenti all’uso dei cookie.

Accetto Cookie Policy
X
x