Carla Ammannati, un libro ad uso di memoria

Luigi Oliveto

12/11/2020

Con il romanzo “Memorie per un Figlio” (Aracne, 2020) Carla Ammannati è riuscita nel suo intento: costruire una “storia parlata” di forte impronta drammaturgica. E questo è, infatti, il libro. Una rappresentazione. Non a caso scandita in un prologo e nove quadri dove, di volta in volta, una sapiente regia (bravo anche il datore luci) accende e sbalza sul fondale personaggi diversi che prendono la parola, affabulano, raccontano di sé e del loro tempo. A convocare questi protagonisti è Luisa (Lula). Lo fa durante lunghi colloqui con un prete eremita, Diego, che vive sulle montagne della Garfagnana. Luisa porta dentro il limio di un dolore, di qualcosa di irrisolto che affonda in vicende personali e familiari. Parlarne con Diego – quasi confessione, più che altro psicoterapia – le giova. Riorganizza ricordi, passioni, distacchi, drammi, guizzi di felicità. Li iscrive, forse con maggiore consapevolezza, nella realtà; per quanto – sia chiaro – “non ha importanza la realtà oggettiva, ha importanza la nostra realtà.” Quei colloqui, come poi si rivelerà a distanza di anni, risultano confortanti anche per Diego, che nasconde la sua buona dose di inquietudini. E’ un incontro di anime che sarebbe potuto sfociare benissimo in passione. Lula reimpagina la propria vita, la ripercorre fin dalle sue radici (nonni, genitori, altri legami inscindibili). Cosicché il racconto attraversa epoche diverse: il nazifascismo, la Resistenza, il ’68, il presente. E tutto ciò – da qui il titolo – per consegnare una memoria al proprio Figlio (scritto così, di maiuscolo) che è un bambino profugo avuto in affido, portatore di un mondo-altro: “affinché il racconto della mia esistenza diventi corredo della tua.” Ecco così formarsi un libro della conoscenza ben oltre i canoni di una pedagogia pronto uso (“non cerco mai la morale della favola, perché mai c’è”, leggiamo nel Prologo); piuttosto per fornire, qualora servisse, un inventario di sentimenti che nella vita raramente si presentano intelligibili, univoci, palesi. Un libro, dunque, ad uso di memoria; con racchiuso quel briciolo di universalità che ogni esistenza porta in sé. Tra gli interstizi della narrazione, a un tratto (poi nuovamente nel finale) balugina un dipinto conservato nell’Eremo di Capraia, in Lucchesia, la “Madonna che insegna al Bambino a leggere il Libro”. Quell’allegoria che va a inscenarsi nella penombra di uno sperduto angolo di mondo è chiaramente parte dell’ordito emotivo che tiene insieme l’intero romanzo. Ancorché guardata nel perimetro degli umani affanni, è pur sempre icona di premura materna.
 
***
 
Prologo
 
Questo libro è per te, Figlio. Qui dentro mi ritroverai per intero. Mi metto a nudo, per te. Per quanto tempo potrò seguire e sostenere il tuo cammino? Quanto vorrai che rimaniamo vicini? Quanto consentirà la sorte che sia lungo il tratto della nostra vita comune? Avrei voluto subito parlarti di me, della mia (e ora anche tua) famiglia, ma eri così piccolo e non capivi nemmeno la mia lingua, ancora. Poi il tempo è passato e mi sono convinta di riuscirci meglio con questa forma differente di racconto. Ti accorgerai, comunque, che è una storia completamente parlata. Mi è piaciuto mettere in scena – letteralmente, facendole recitare – le persone che hanno contato per me. E tutto è vero, intendo il dialogo con Diego e quello che gli dico e quello che dicono le figure che pongo sotto il riflettore. È con lui che, molti anni fa, sono riuscita ad aprirmi e il posto, il paesaggio, l’Eremo, ormai li conosci e li ami anche tu. Sì, il teatro è una mia antica passione e, come sai, il mestiere di tua sorella. Come narrarti in altro modo lo scambio continuo di discorsi tra me e il nostro amico eremita senza sfinirti di noia? Devi avere chiaro, però, che non ho raccontato così come le leggi, le storie, a Diego. Noi abbiamo conversato per mattine, pomeriggi e sere, ma per lui non sono salita sul palcoscenico. Questa è un’operazione successiva, la drammaturgia l’ho inventata per te. Che te ne farai, di tutte queste… scene? Posso essere sincera? Non mi pare importante, personalmente non cerco mai la morale della favola, perché mai c’è. Qualcosa mi auguro, tuttavia. Che il racconto della mia esistenza diventi corredo della tua. Dove vorrai studiare, dove vorrai lavorare, abitare? Dovunque ti porterai dietro delle storie, è la mia eredità. È proprio vero che qualche volta le scelte dei nostri genitori si ripetono: capirai, leggendo questa commedia, che non altro che un mucchio di parole mi ha lasciato mia madre. Un diario, dei quaderni. Un intero granaio.
 
[da Memorie per un Figlio di Carla Ammannati, Aracne, 2020]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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