Partiamo dalla considerazione che parlare di canone vuol dire dibattere di una questione legata strettamente al piano educativo e formativo dell’insegnamento, alle scelte argomentative che si fanno o che si è supportati a fare. E certo, mi verrebbe da dire, discutere del canone non è affatto un inutile pour parlè, se il primo a farlo nella nostra letteratura fu proprio Dante Alighieri nel suo De vulgari Eloquentia. Ma non solo; il canone viene attenzionato, maggiormente, quando si avverte che il paradigma di riferimento, anche sociale, oltre che culturale, è quasi insufficiente o obsoleto.
Da circa trent’anni, anno più anno meno, le riflessioni sul canone ritornano con ricorrente frequenza. Interessante potrebbe essere la lettura di Western Canon di Harold Bloom (1994) in cui si dice chiaramente che la forza di ciò che è canonico si manifesta nella sua persistenza. Se dovessi definire il canone, nella sua accezione divulgativa, direi senz’altro che esso si confà alla definizione di “classico”. Gli scrittori classici si leggono in classe e sono recepiti all’interno di un manuale, e mantengono vivo e forte il loro valore formativo.
Adesso, in questo preciso istante, sarebbe naturale ed attuale fare focus sulla questione dei cosiddetti “libri proletari”, uno spaccato della letteratura di “consumo” – così definita, contrapposta all’idea di “classico”. Ma forse, mi permetto, può non essere questa l’occasione poiché il nostro dialogo si incentra su altro. Ed allora, come potremmo definire scrittori e libri canonici? Beh, oserei dire che si tratta di autori e libri che vengono individuati come indispensabili e obbligatori (non commettiamo errore) da una cultura, ma anche da un’opinione intellettuale che li ritiene capaci di trasmettere un “modello di mondo”, di definire una identità ed una storia. Faccio qui esplicito riferimento all’accezione della Scuola di Tartu.
La scuola ha dunque il compito di evitare che questo patrimonio, questa eredità si disperda; gli insegnanti il compito di trasmettere e “reinvestire” il canone in e con sempre nuove e aggiornate “versioni” ed interpretazioni della classicità. Non è assurdo, sono certa, un “classico” può essere “ri-letto” e “ri-prodotto” stante il contesto di riferimento. D’altra parte, è o non è un classico? Un canone? Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri; un classico, un canone. Eppure, sempre attuale, sempre on the road – potremmo dire. Ma anche in questo caso, per farne apprezzare il valore formativo, lo si deve far vivere, attualizzare; magari in comparazione con un testo non rientrante nel canone. Contaminarne, in un certo qual modo, il dialogo.
Ogni testo letterario - sottolineo - ha una voce unica, propria che trasferisce al lettore/lettrice qualcosa di irripetibile; attiva, in un certo qual modo, la mente. Ma è anche compito del docente rendere ed amplificare questo messaggio in un percorso di letteratura e lettura che non si senta “ingabbiato” in un canone obbligatorio. Che uno studente, ad esempio, incontri, nel suo percorso, la selva di Ariosto ma mai la periferia di Marcovaldo o le caratterizzazioni di Accattone, non è solo un problema di canone. Forse, anche, di metodo. Canone vs manuale, questo è il dilemma. Potremmo sdrammatizzare! Ergo, il manuale di letteratura è la messa in opera del canone, lo strumento operativo che, in quanto strumento didattico, bisogna dirlo, esiste solo in Italia o quasi. E questo non è un dettaglio. O almeno, può non esserlo.
Ezio Raimondi ha sostenuto che l’urgenza maggiore risiede nel capire quali possono essere “i libri modello” per la nostra epoca. Non è solo una questione di ampliare, ma anche di scegliere. E questo, molte volte, è il limite dei manuali, che possono risultare sovrabbondanti e, per certi versi, disorientanti, a fronte di non operare una netta scelta. Gli argomenti sono molti, anche correlati al canone. Faccio riferimento, ad esempio, al canone del Novecento, che è forse la “questione” oppure alla presenza di donne scrittrici/autrici rispetto agli uomini e così via, volendo fare una analisi peculiare ed attenta.
Prendiamo velocemente il canone del Novecento, laddove si ravvisa - forse - la più impellente necessità di uscirne e di tracciare altri percorsi (Pasolini, Gadda, Vittorini, Sciascia, Sereni, Alvaro, Morante, Merini, Ortense, Bianciardi e via elencando); ecco, nel caso specifico rimando alle Indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento concernenti le attività e gli insegnamenti compresi nei piani degli studi previsti per i percorsi liceali, emanate nel 2011 in cui si elencano, più o meno, 23 autori, con delle assenze importanti come Ginzbrg, Flaiano, Eco ed altri. A lettura attenta non esiste un canone, né un percorso tracciato. Vi è invece, ed invito alla lettura del testo normativo, una serie di input che i docenti dovrebbero cogliere per costruirvi percorsi interdisciplinari e di lettura.
Questo è quanto, tuttavia il canone c’è nella percezione / inclinazione / disposizione / organizzazione di uno studio della letteratura italiana per tappe. Gli autori vanno “fatti”, questa è la lectio. Personalmente, e qui mi fermerei, non parlerei più di canone, diciamo dal punto di vista del dibattito, ma proverei ad agire con metodo, acquisendo la consapevolezza che quanto disposto non sia obbligatorio ma “indicativo” di un percorso al quale, il docente, potrà apportare digressioni e integrazioni. Ecco, mi soffermerei di più sulla questione di “metodo”. E sulla considerazione che la letteratura italiana non sia semplicemente materia scolastica, ma esperienza conoscitiva, di crescita umana e di indagine personale e collettiva. A questo proposito come non citare voci che hanno scandito questa declinazione della letteratura e che meriterebbero ampio spazio nella trattazione delle loro opere: Pasolini, Calvino, Moravia, Fallaci, Merini, Ortese ecc…
E poi, considerando centrale nelle nuove metodologie didattiche la pratica della lettura, perché non pensare ad un “canone” – se vogliamo continuare a parlarne – non degli autori, ma dei testi. E già questa potrebbe essere una versione diversa. Altra quaestio i manuali, che, ovviamente, salvo poche eccezioni, confermano la regola delle Indicazioni del 2011 e offrono il “canone”, pur se lavorato in modi diversi.
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