Camus avrebbe voluto morire a Siena

Luigi Oliveto

08/01/2010

“Non voglio essere un genio: ho già problemi a sufficienza cercando di essere solo un uomo”. Questo affermava Albert Camus in un folgorante aforisma che oggi sembra essere quanto mai attuale in considerazione della proposta avanzata da Nicolas Sarkozy di voler trasferire nel Pantheon parigino le ceneri dell’inquieto intellettuale esistenzialista di cui, nel 2010, ricorre il cinquantesimo anniversario della morte. Una “operazione gadget dell’Eliseo – ha insinuato Olivier Todd (biografo di Camus) – per recuperare gli ambienti intellettuali”. E a proposito del sospetto che l’idea di Sarkozy non voglia essere che una mera azione di marketing, Yves Guerin (curatore del “Dictionnaire Albert Camus”) ci va giù duro sottolineando quanto sia inconciliabile Camus con la politica del presidente francese, “dallo scudo fiscale alle amicizie del Fouquet’s, passando per gli incontri con i tiranni del mondo”. Molti altri specialisti camusiani hanno poi tenuto a ricordare come il filosofo-scrittore non amasse per nulla le onorificenze. Insomma, fatta eccezione per l’ex ministro della cultura Jack Lang, quasi tutta l’intellighenzia d’oltralpe sarebbe dell’avviso di lasciar riposare le spoglie mortali di Camus nel defilato cimitero di Lourmarin, in Provenza, vicino a dove, qualche tempo prima di morire, lo scrittore aveva acquistato una casa.
Anche il figlio Jean la pensa decisamente così. Mentre ha chiesto tempo per rifletterci la figlia Catherine, colei che, da bambina, chiese al padre in procinto di partire alla volta della Svezia per ritirare il Nobel della letteratura, se esistesse pure un premio Nobel per gli acrobati.
Camus morì nel 1960, a soli 47 anni, a seguito di un incidente stradale, nel quale perse la vita anche il suo editore Michel Gallimard, nei pressi di Villeblevin. L’autore de “La peste” e de “Lo straniero” finì i suoi giorni così, su un nastro d’asfalto che si snoda attraversa il Dipartimento della Yonne. Ma ciò che lui sognava sarebbe stato morire sulla strada che sale verso Siena, come ha avuto modo di ricordare recentemente la stessa figlia Catherine, citando i Taccuini del padre (la traduzione italiana è pubblicata da Bompiani in tre volumi).
Camus, infatti, parla di un viaggio fatto in Toscana negli anni giovanili che risulta quasi una sorta di riconciliazione verso se stesso e il mondo. A Firenze resta inebriato dalle “rose tardive del chiostro di Santa Maria Novella” e dalle donne fiorentine con i loro “seni liberi, occhi e labbra che ti lasciano con il batticuore, la gola secca e una vampata alle reni”. Quindi, ammirati ad Arezzo i capolavori di Piero della Francesca, si incamminerà verso Siena formulando dentro di sé un commosso auspicio: “Quando sarò vecchio, vorrei che mi fosse concesso di tornare in questa strada di Siena che non ha eguali nel mondo e di morirvi in un fossato, circondato solo dalla bontà di quegli italiani sconosciuti che io amo”.
Dentro a quel paesaggio sembrerebbe quasi che “l’assurdo” dell’esistenza (in tal modo Camus avrebbe definito l’incolmabile distanza tra l’uomo e la realtà) potesse prodigiosamente risolversi. A tal punto da scrivere: “Ma soprattutto vorrei rifare a piedi, sacco in spalla, la strada da Monte S. Savino a Siena, costeggiare quella campagna d’uve e d’olive, di cui risento l’odore, attraverso quelle colline di colore azzurrognolo che si estendono fino all’orizzonte…”.
Il giovane che in seguito, nello sforzo di cogliere i valori connessi all’esperienza umana, avrebbe sostenuto (si leggano le pagine de “La peste”) che tra gli uomini ci sono, nonostante tutto, più cose da ammirare che da disprezzare, voleva dunque camminare sulla strada per Siena fino a vederla sorgere nel tramonto “con i suoi minareti, come una Costantinopoli di perfezione” (tale gli sembrava il profilo della città sospesa sulla linea dell’orizzonte). Egli desiderava oltrepassarne le mura “di notte, senza denaro e solo, dormire a una fontana ed essere il primo sulla piazza del Campo in forma di palma, come una mano che offre ciò che l’uomo, dopo la Grecia, ha fatto di più grande”.
Mentre prosegue il dibattito se sia giusto o no che Albert Camus venga sepolto nel “tempio dei francesi immortali” in compagnia di Voltaire, Rousseau, Zola, Hugo, Zola, Dumas…, viene quasi da chiedersi se e quante volte, nel corso della sua breve esistenza, egli abbia avuto modo di ripensare al pacificato sentimento verso la vita che in gioventù aveva ravvisato in terra senese; al fossato cretoso lungo la strada per Siena, che lui avrebbe voluto a compassionevole nicchia del proprio ultimo respiro. Ma comunque sia, qualcosa del suo tormentato spirito riposa anche in quella terra che ad ogni tramonto solleva e accende “una Costantinopoli di perfezione”.

(Articolo pubblicato su Il Corriere di Siena del 31 dicembre 2009)

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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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