Camon e quell’altare in memoria dei nati e morti “fuori della storia”

Luigi Oliveto

27/10/2016

Al mondo contadino – un mondo di miserie e grandezza, già al suo tramonto negli anni Settanta – Ferdinando Camon dedicò tre romanzi, una serie detta “ciclo degli ultimi”, conclusasi con “Un altare per la madre”. Storia autobiografica che inizia con il funerale della mamma dello scrittore e che si conclude con la posa dell’altare realizzato dal padre in memoria della moglie. E nella rielaborazione ideale del romanzo di Camon, in memoria di una intera cultura, quella contadina. La vicenda vede il suo epilogo in una strana quanto toccante liturgia, la benedizione di questo altare di rame istoriato, ricavato dal materiale di vecchie pentole donate al vedovo da tutto il vicinato. Un altare per la madre, dunque, e per tutta quella gente che, come lei, “erano state fatte per nascere e morire fuori della storia”.
 
La processione arriva alle 10, si sentono i canti e il trapestio dei passi, l’altare non c’è, il capitello è vuoto. Il prete entra e benedice l’aria, i muri, il pavimento. Adesso quello spazio è sacro. Dal crocevia si sente battere il martello. E’ il padre che lavora, ma ormai senza senso. C’è una strada nella follia che dev’essere percorsa fino in fondo, perché fermarsi è più pericoloso che continuare.
Tutto l’altare è finito a mezzogiorno, con due ore di ritardo. Viene portato al crocevia deserto su un carro, sul carro sta dritto il padre, tiene una mano sull’altare ma non per tenere fermo l’altare, solo per non cadere lui. Il carro tirato da buoi cammina lentissimo. Si ferma davanti al capitello. Qui l’altare è scaricato e trascinato dentro, piazzato solido al centro dello spazio sacro, rivolto verso la porta e le campane. Il padre batte le nocche sul legno poi si lascia cadere in un angolo. S’è vestito da festa. Prega sottovoce.
La processione si è sciolta in fondo al paese, la gente ritorna a casa alla spicciolata, vede questo altare che prima non c’era e scuote la testa: si sapeva che non sarebbe stato pronto in tempo.
Ultimo arriva il prete, vede l’altare e si ferma. Entra col libro fra le mani. Tocca l’altare, lo scorre con le dita dall’inizio alla fine. Guarda le figure di rame, che sembrano ancora più in rilievo tra la luce e le ombre. Le pensa una per una. Esce e sente un lamento. Torna e vede il padre. «Lo hai fatto tu?» domanda. L’altro china la testa, per dire di sì, poi allarga le braccia, per dire che è stato inutile. Il prete esita, come se quello che sta per fare fosse troppo. Poi si gira lentamente in modo da vedere la chiesa attraverso le finestre, depone il libro aperto sul piano dell’altare, tocca l’altare con ambedue le mani, ci fa un segno di croce, resta a palme aperte, si china fino a baciarlo e rimane, così chinato, a lungo, con la fronte sul legno. Poi si alza lentamente, dicendo.
«In nomine Patris,»
si fa il segno della croce, con gesto largo:
«et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.»
Il padre si alza appoggiandosi al muro e strisciando contro i mattoni, quand’è in piedi si fa il segno della croce anche lui. Sta a gambe larghe per non cadere.
Il prete allarga le braccia a destra e a sinistra del volto, tiene le mani aperte con le palme in avanti.
Dice ad alta voce:
«Veni sanctificator, omnipotens aeterne Deus, et bene,»
ripete il segno della croce, abbassa le mani sul tavolo:
«dic hoc altare, tuo sancto nomini dedicatum.»
Il padre si regge al muro anche con le mani, non sa dove attaccarsi, sta per cadere.
Il prete prega sottovoce, poi conclude:
«Ut meum ac vestrum sacrificium acceptabile fiat apud Deum Patrem omnipotentem.»
Congiunge le mani, palma contro palma, in atto di preghiera e dice:
«Domine, exaudi orationem meam.»
China la testa. Aspetta. Tocca a mio padre continuare. Mio padre non ha forza, fa fatica a non cadere. Ma muove la bocca, con voce appena intellegibile:
«Clamor meus,»
bisbiglia
«ad te veniat.»
 
[da Un altare per la madre di Ferdinando Camon, Garzanti, 1978]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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