C’era una volta il West secondo Paulette Jiles

Luigi Oliveto

05/08/2021

Chi ama il western (non necessariamente quello con le pistole sempre fumanti) può leggere ora “Notizie dal mondo” di Paulette Jiles, edito da Neri Pozza per la traduzione di Laura Prandino. Romanzo di genere, d’accordo. Ma scritto bene e con una trama affatto banale. Qualcuno già conoscerà la vicenda che vi si racconta per aver visto l’omonimo filmone (anch’esso apprezzabile) tratto dal libro, diretto da Paul Greengrass con Tom Hanks e Helena Zengel. Una storia che ha sullo sfondo uno spaccato di storia americana (siamo in Texas nel 1870, all’indomani della guerra civile) e che fin dall’inizio porta a immergersi dentro un’epoca, in piccoli polverosi universi (anche ideologici). Avvincente la figura dell’anziano capitano Jefferson Kidd, veterano di guerra e tipografo in pensione, il quale si guadagna da vivere spostandosi da una città all’altra per leggere giornali ad alta voce dinanzi a un pubblico che paga pur di sentire cosa succeda nel mondo. Ed è proprio dopo una di queste letture a Wichita Falls che il capitano viene avvicinato da Britt Johnson, un nero che fa il trasportatore. Sul suo carro ha una bambina, Johanna Leonberger, vestita alla Comanche, con degli occhi azzurrissimi e dai modi selvaggi. Era stata catturata in un agguato alla carovana quattro anni prima, quando ne aveva sei. Nell’assalto erano stati uccisi i genitori e la sorellina più piccola. Gli unici parenti rimasti sono degli zii che abitano a San Antonio. Così al capitano Kidd viene chiesto se, dietro una ricompensa di cinquanta dollari, sia disposto a riportarla ai suoi familiari. Lui che è uomo sensibile e d’onore accetta e intraprende un difficile viaggio di tre settimane. L’impresa risulterà davvero ardua, per i rischi che comporta l’attraversamento del deserto, gli incontri con pericolosi personaggi e, non di meno, l’atteggiamento ribelle della bambina. Finché – se non altro per sopravvivere – cresce tra i due una fiducia reciproca. Anche Kidd è rimasto senza nessuno, la moglie è morta, le figlie abitano lontano. Solo al mondo in un mondo che ritiene debba essere decisamente ripensato. Forse è questo il significato (nemmeno troppo criptico) dell’incontro tra il vecchio e la bambina, il senso delle peripezie che li vede protagonisti, dei sentimenti (quasi un nonno, quasi una nipote) che intercorrono tra loro nonostante tutto. Un western? Comunque una storia che non sarebbe difficile reinscrivere nel nostro tempo.
 
***
 
Wichita Falls, Texas, inverno 1870
Il capitano Kidd aprì il Boston Morning Journal sul sostegno e cominciò a leggere l’articolo sul Quindicesimo emendamento. Era nato nel 1798, la terza guerra della sua vita era finita da cinque anni e sperava di non vederne altre, ma ormai le notizie dal mondo lo facevano invecchiare più del trascorrere del tempo. Eppure continuava a tenere botta, nonostante le gelide piogge primaverili. Una volta faceva il tipografo ma la guerra s’era portata via la sua macchina da stampa e tutto il resto, l’economia della Confederazione era andata in malora prima ancora della resa e così adesso si guadagnava da vivere spostandosi da una città all’altra del Texas settentrionale con i suoi giornali e riviste in una cartella impermeabile e il colletto del cappotto sollevato per difendersi dalle intemperie. Montava un ottimo cavallo e temeva che prima o poi potessero cercare di rubarglielo, ma fino ad allora era andato tutto liscio. Così era arrivato a Wichita Falls il 26 febbraio, aveva attaccato i suoi manifesti e si era cambiato nella stalla indossando l’abito da lettura. Fuori pioveva con fragore, ma lui aveva una bella voce stentorea.
Spiegò le pagine del Journal.
Il Quindicesimo emendamento, lesse, appena ratificato il 3 febbraio 1870, ammetteva al voto tutti gli uomini che ne avevano diritto, senza alcuna preclusione di razza, colore, o precedente condizione di schiavitù. Alzò lo sguardo dalla pagina. I suoi occhiali da lettura riflettevano la luce. Si sporse leggermente sul leggio. Si riferisce ai gentiluomini di colore, disse. Evitiamo spacconate o strilli da ragazzine. Si guardò attorno esaminando la folla di facce rivolte verso di lui. Vi sento borbottare, disse. Smettetela. Detesto i borbottii.
Li incenerì con un’occhiata e poi disse: Il prossimo. Il capitano spiegò un altro giornale. L’ultima edizione del New York Tribune informa che la nave per le esplorazioni polari Hansa, secondo quanto riferito da un baleniere, si è schiantata contro la banchina ed è colata a picco nel tentativo di raggiungere il Polo Nord; è affondata a settanta gradi di latitudine nord al largo della Groenlandia. Nell’articolo non si menzionano sopravvissuti. Voltò pagina, impaziente.
Il capitano aveva una faccia ben rasata dagli spigoli runici, i capelli candidi, ed era alto un metro e ottanta. La sua chioma scintillava nell’intenso fascio di luce della lanterna cieca. Infilata alla cintura, dietro la schiena, aveva una rivoltella Slocum a canna corta. Una cinque colpi calibro 32 che non gli era mai piaciuta più di tanto, ma del resto gli era capitato di rado di doverla usare.
Oltre le teste scoperte scorse Britt Johnson e i suoi uomini, Paint Crawford e Dennis Cureton, addossati alla parete di fondo. Erano uomini neri liberi. Britt faceva il trasportatore, e gli altri due erano i suoi carrettieri. Tenevano tutti il cappello in mano, una gamba piegata e il piede appoggiato alla parete dietro di loro. La sala era piena. Era un ampio spazio libero utilizzato per il magazzinaggio della lana, per le assemblee della comunità, e per gente come lui. La folla era composta quasi interamente da uomini, quasi tutti bianchi. La luce delle lampade era cruda, l’aria scura. Il capitano Kidd si spostava con i suoi giornali da una città all’altra in tutto il Texas del Nord, e leggeva a voce alta le notizie del giorno a collettività come quella che aveva davanti, nelle sale comuni o nelle chiese, per dieci centesimi a testa. Viaggiava da solo e nessuno raccoglieva le monete per lui, ma ben pochi cercavano di fregarlo, e se qualcuno ci provava c’era sempre chi se ne accorgeva e lo agguantava per il bavero dicendogli: dovresti proprio pagare il tuo stramaledetto diecino come fanno tutti.
E la moneta tintinnava nella latta di vernice vuota.
Sollevando lo sguardo vide che Britt Johnson aveva alzato l’indice. Il capitano Kidd annuì brevemente in risposta e completò la sua lettura con un articolo del Philadelphia Inquirer a proposito del fisico britannico James Maxwell e delle sue teorie sui disturbi elettromagnetici nell’etere, la cui lunghezza d’onda era maggiore rispetto alle radiazioni infrarosse. Serviva ad annoiare il pubblico, quietarlo e renderlo impaziente di andarsene, alla spicciolata. Era diventato intollerante al trambusto e alle emozioni altrui. La sua vita gli appariva agra e inconsistente, un po’ vana, una sensazione che aveva cominciato ad avvertire solo di recente. Una vaga cupezza si era insinuata in lui come gas illuminante e non sapeva che fare, se non cercare quiete e solitudine. Ormai era sempre più impaziente di concludere alla svelta le sue letture.
Il capitano ripiegò i giornali e li ripose nella cartella. Si chinò alla sua sinistra per spegnere la lanterna cieca. Attraversando la folla diversi spettatori si fecero avanti per stringergli la mano. Un uomo dai capelli chiari rimase seduto a fissarlo. Con lui c’erano due indiani o mezzosangue che il capitano riconobbe per Caddo, con una pessima reputazione. L’uomo dai capelli biondi si girò sulla sedia per guardare Britt. Poi altre persone si avvicinarono al capitano per ringraziarlo delle sue letture e chiedergli notizie delle figlie ormai grandi. Con un cenno del capo, Kidd rispose: Non c’è male, non c’è male, e poi si diresse verso Britt e i suoi uomini per sentire cosa voleva da lui.
Il capitano Kidd pensava che si trattasse del Quindicesimo emendamento, invece no.
Sissignore, capitano Kidd, verrebbe un momento con me? Britt si raddrizzò e si rimise il cappello in testa, e lo stesso fecero Dennis e Paint. Ho un problema sul mio carro, disse Britt.
Sembrava avere una decina d’anni, vestita alla maniera comanche, con una tunica di pelle di daino con quattro file di denti d’alce cuciti sul petto. Sulle spalle aveva una coperta pesante. I capelli erano del colore dello zucchero d’acero, con due piumini e una penna d’aquila reale intrecciati e legati a una ciocca con un filo sottile. Sedeva perfettamente composta, portava la sua penna e una collanina di perle di vetro come se fossero gioielli preziosi. Aveva gli occhi azzurri e la carnagione di quel colore acceso che assume la pelle chiara bruciata e cotta dal sole. Espressiva quanto un pesce.
 
[da Notizie dal mondo di Paulette Jiles, trad. di Laura Prandino, Neri Pozza, 2021]
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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