Bocca di strega. Guerra per bande nella Maremma dei tombaroli

Luigi Oliveto

10/10/2024

David Herbert Lawrence fu particolarmente affascinato dal misterioso mondo degli Etruschi. Durante il periodo del suo soggiorno fiorentino (per due anni, dal 1926 al 1928, abitò a Villa Mirenda, nei pressi di Scandicci) intraprese una sorta di pellegrinaggio nelle località dove sono visitabili necropoli etrusche. Il resoconto di quel viaggio rimasto incompiuto è testimoniato nel libro “Etruscan Places”, pubblicato postumo nel 1932 (una traduzione italiana è stata meritoriamente edita nel 2022 da Neri Pozza). Nel libro, Lawrence parla di come quelle “case dei morti” fossero state completamente depredate dei preziosi oggetti che contenevano. Andando molto indietro nel tempo scrive: “[…] quando i Romani cominciarono a far collezione di antichità etrusche ci deve esser stato un grande saccheggio nelle tombe. Anche quando tutto l’oro, l’argento e i gioielli furono sottratti dalle urne […] i vasi e i bronzi dovettero rimanere ancora ai loro posti. Poi i ricchi Romani cominciarono a far collezione di vasi, di vasi ‘greci’ con scene dipinte. Così questi furono rubati alle tombe. Poi le figure bronzee, statuette, animali, navi di bronzo, che gli Etruschi misero a migliaia nelle tombe, divennero la grande passione dei collezionisti romani. Era di moda tra gli eleganti signori di Roma avere qualche migliaio di scelti bronzetti etruschi, per menarne vanto”. E nei secoli a seguire il saccheggio è proseguito sistematicamente ad opera di veri ‘professionisti del settore’, i cosiddetti tombaroli, nuovi briganti di Maremma, figure talvolta affascinanti quanto le sepolture in cui andavano a rovistare. Di loro racconta “Bocca di strega”, il nuovo romanzo di Sacha Naspini (edizioni e/o) ambientato nella val di Cornia dei primi anni Settanta del secolo scorso. Da qui muovono le vicende che vedono lo scontro tra due bande di tombaroli. Si contendono il predominio su un traffico di reperti etruschi, ormai sviluppato su scala internazionale: Populonia-Roma-America. Insomma, un giro d’affari miliardario. Non si dimentichi che buona parte dei pezzi etruschi che oggi fanno mostra di sé nelle luccicanti teche dei musei di tutto il mondo, provengono da questi traffici. Sono passati tra le mani di personaggi come quelli che Naspini mette in pagina con divertita sagacia, rappresentando uno spaccato d’epoca e di geografia (soprattutto umana). Ecco allora il mitico Bardo, re dei tombaroli e scaltro affarista che, però, non regge alla perdita della moglie Elisa (lui ne è in qualche modo la causa) e così decide di sparire in mare. Gli subentra il figlio Giovanni, detto Veleno, depositario di tutti gli espedienti della ricettazione lasciatigli dal padre, ma non certo dotato delle capacità e del carisma paterni. Proprio nell’incertezza di questa nuova leadership si insinuano altre bande e trafficanti laziali per impossessarsi della piazza toscana. Tessono strategie e sotterfugi (“Bocca di strega” è giustappunto il nome in codice di una trappola), scatenando vendette, ingordigie, tradimenti. E persino amori, che possono, talvolta, ottenere l’inimmaginabile. Già i ‘nomi di battaglia’ di alcuni protagonisti evocano un mondo: Alarico, Biondo, Leagro, tutti con triplice qualifica di operaio, padre di famiglia, tombarolo (nel caso di Leagro anche rabdomante, dunque una innata predisposizione a cercare sotto terra). E ancora: Silvana, prostituta di via della Principessa, che dal caravan dove “consolava” gli uomini sognava Parigi; Remo, detto Il Pesciaio di via Bologna; Simone Ribocchi detto Ciocio, guardia notturna, fatto cornuto dalla moglie, sparita nel nulla, ma che, premurosa, gli aveva lasciato la figliola Maristella appena partorita. Completano il quadro: Raffaello Dolfino della Quaglia Biganò, detto Il Marchese, nobile decaduto e trafficante sotto copertura; Don Fernando, parroco di Populonia, nonché fidato collaboratore di Bardo insieme al cavallaio Ercole Nassi; Corrado Ascanio, trafficante romano e cantante; Nathan Mayer, collezionista americano. È tutto un mondo che dalla provincia italiana allarga fino alla capitale e oltre oceano. Per tornare a farsi piccolo, come accade ogni volta che nella vita delle persone irrompono cose più grandi loro.
 
***
 
Nelle sere d’estate i tombaroli di Maremma fanno banda nelle cantine e aprono le carte dei giornali svelando reperti meravigliosi. Nel disporre i tesori sui tavolacci bevono vino, intanto raccontano le avventure che hanno affrontato per portare lì vasi e bronzetti, buccheri e monili.
Sono sempre storie incredibili, ma nessuno azzarda una parola chiedendo di stabilire la verità: conta la smania. È quella che va nutrita.
Per esempio, resta famosa la peripezia che portò il cratere di Eufronio a New York. Reliquia ammirata dal mondo, poi rivoluta indietro e finita nel museo di Cerveteri: un falso. Opera di un artista maltrattato prima dai carabinieri e poi dai tribunali, infine costretto all’abbandono del talento. Nome di battaglia: Pavone. È sempre nel cuore di tutti.
Oppure le dicerie sul ritrovamento di Riace: a ogni raduno c’è chi giura di aver visto il terzo bronzo qua o là, venduto e comprato da collezionisti tra la Svizzera, la Francia, la California. Esistono personaggi che messi i figli a letto si ritirano a bere Dalmore al cospetto di una statua gigantesca, custodita nel sotterraneo della tale villa. L’ebbrezza non è nel whisky costosissimo: avere davanti quel guerriero lucente, con tanto di scudo e l’occhio fisso e brutale dei millenni. Possederlo è la più grossa ubriacatura. «Ora è in Giappone!» dice uno. «No, è in Spagna!» fa un altro. «Lo ha preso un capobastone e lo tiene in bagno accanto allo specchio» giura un terzo. Gli sguardi brillano solo all’idea.
I protagonisti di queste storie sono operai, pescatori, direttori di banca… Certe scalette vengono scese tanto da tizi in tuta da meccanico quanto da quarantenni in giacca firmata e macchinone parcheggiato nello spiazzo del ristorante, accanto al macinino di un contadinotto con la faccia bruciata dal sole.
Gli incontri alla Conchiglia sono belli. Le ultime famigliole pagano il conto e alla porta viene messo il cartello CHIUSO; dopo un po’ arrivano altri avventori, alla spicciolata. Entrano passando da dietro.
Baratti è già assediata dai turisti. Nel golfo si accendono i falò, i ragazzi fanno scorte di bottiglie. Insomma, è cominciata la bella stagione. Per i tombaroli, il periodo più osceno: il viavai dei villeggianti incrementa le ronde della madama. I perdigiorno della municipale trovano qualcosa da fare pattugliando gli incroci, organizzano posti di blocco sulla strada della Principessa. Impossibile cercare lo scavo con tutto questo movimento. La campagna delle sepolture va da ottobre a maggio, poi arrivano i pidocchi francesi, rovinando tutto. Senza considerare la guardia venatoria, la forestale. E le leggi, inasprite da far paura; se i giudici si impuntano, arrivano a rinchiudere i malcapitati per davvero. Non ultimi, ecco i bastardi delle Belle Arti, con i loro colletti puliti e l’aria di chi fa il padrone per decreto: delimitano spiagge, alzano reti col filo spinato negli orti. Impiantano musei. Un tempo le donne di Populonia andavano a messa sfoggiando gioielli antichissimi che adesso restano chiusi dietro vetri rinforzati. I curiosi arrivano dall’altra parte del mondo per pagare il biglietto.
A Veleno piace vestirsi bene. Ha preso le redini della Conchiglia nel ’72, facendone il gioiellino che tutt’oggi attira clienti anche da Firenze. La veranda dà sulla rada – più delle portate, nel ristorante si vende quella vista. Passa la giornata al suo tavolo, con il giornale e un pacchetto di MS nel taschino della camicia. Chi è della zona va da lui prima di andare alla cassa. Ai clienti affezionati fa sconti esagerati; se è in vena offre perfino un assaggio di finocchietto fatto in casa. Ai turisti niente.
Anche il proprietario della Conchiglia è ammantato da un alone mitico: Veleno è il figlio di Bardo, fenomeno che i tombaroli venerano ancora come un santo. È cominciato tutto da lui.
All’anagrafe Guido Sacchetti, Bardo prende di petto gli anni della Seconda guerra trasformando il promontorio in una groviera. Lo danno partigiano, e intanto rimpinza di tesori il rifugio che forse si è fatto a Cala Buia. Solo, nel fitto dei boschi, in quel mare di sepolture da aprire come scatolette. Ce ne sono alcune che sorgono dalla terra da un giorno all’altro dopo un acquazzone. Tombe a tumulo, a fossa, a pozzetto. Perfino a camera, sigillate nel tufo sul sentiero che porta a Buca delle Fate.
Bardo lo vedono rincasare dopo la Liberazione insieme al gruppo che ha combattuto nella Brigata Boscaglia. Tutti lo appoggiano, ai compagni dice spesso: «Voi lavoravate per l’Italia. Io lavoravo per voi». Dà a ognuno un pezzo clamoroso. Ma con la raccomandazione di tenere a bada i colpi di testa, la prima cosa da fare è prendere quei capitali e nasconderli bene. Che siano dimenticati per un po’.
Gli anni del boom vedono la Val di Cornia diventare un’altra cosa. Da Piombino alla Sterpaia d’un tratto fioriscono campeggi, stabilimenti balneari, balere, ristoranti. Si rimettono a nuovo tenute secolari. E poi frantoi, cantine, maneggi… Le autorizzazioni fioccano. Portare l’Italia fuori dalla guerra fa chiudere un occhio ai funzionari, incoraggiati dai regali che Bardo fa circolare sottobanco. Un’epoca d’oro. Sbuca la tale famiglia scalcagnata con una borsa piena di risparmi e riscatta la casa sull’unghia. Intanto Bardo firma un altro tipo di contratto, con cui tiene in mano il comprensorio: la riconoscenza. Se a Populonia si comprano frigoriferi da mettere in salotto, è merito suo. I ragazzi di Franciana, della Sdriscia e di Fiorentina possono aspirare alle scuole. Perfino don Fernando crolla in ginocchio quando vede entrare quel compaesano nella chiesetta di Santa Croce.
Bardo non chiede niente in cambio, ma tutti si sentono in debito con lui. Si ferma con la Giulietta Sprint per fare benzina e Corallo si leva il berretto, dà due colpi di nocca sul parabrezza. «Fila via. Non ti venga l’idea di farmi vedere il borsello». Poi, per sdebitarsi, prenotano tutti alla Conchiglia, nuova di zecca. Trovare un tavolo è un’impresa. Ci sono liste anche di un mese. Perfino i carabinieri sanno che Sacchetti Guido ha usato una guerra mondiale per fare i suoi porci comodi nei boschi – al maresciallo Parrini è riservato il posto in veranda ogni domenica. Qua e là si scorgono appuntati e brigadieri con le famiglie.
Insomma, Bardo non lo tocca nessuno. A parte le ragazze, che gli muoiono dietro disperate. A vincere la lotteria è Elisa, la Querci, e questa scelta fa storcere il naso a molte. Carina, per carità, ma niente a che vedere con le stanghe che bazzicano il locale…
Si sposano di maggio, e sembra la cerimonia di un principe. Sul golfo di Baratti vengono sparati i fuochi d’artificio. Pochi mesi dopo, Elisa gira lungo le tre strade di Populonia col pancione, facendo morire d’invidia le vecchie candidate che le lanciano il malocchio dalla finestra. Infatti il bimbo nasce settimino. Lo chiamano Giovanni.
Bardo si vede sempre meno. Chi gli è vicino dice che ha degli affari nella Tuscia con certi personaggi ammanicati su Roma. È là che vanno a finire i pezzi regalati alla fine della guerra. Guido se li fa dare, torna con i soldi. I più maligni mormorano che è un bel modo di spacciarsi per salvatore del paesello, di sicuro trattiene una quota per sé. Ma alla fine nessuno si lamenta: prendono le mazzette da centomila e zitti.
«Perché lo fa?» mormorano a volte al bar della Pergola, e nascono discussioni da bestie, specie quando si perde il conto dei bicchieri. C’è chi dice che è solo un piano di Bardo per tenere un piede nella casa di tutti. Altri sostengono che forse è un po’ scemo, ma si sperticano in mille salamelecchi quando lo incontrano di persona. Oppure è una gran pensata che mira a una cosa precisa, altro che santo: la protezione. In pochi anni Guido Sacchetti ha messo su una maglia di gratitudini capace di spalancargli le porte di mezza provincia. Tutti sono pronti a giurare il falso pur di coprirlo. Se qualcuno ti mette in mano una paccata di soldi senza chiedere niente in cambio hai due possibilità: prenderli o non prenderli. In un modo o nell’altro, pare un errore.
 
[da Bocca di strega di Sacha Naspini, Edizioni e/o, 2024]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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