Black Christmas

Luigi Oliveto

16/12/2021

Mancavano pochi minuti alla mezzanotte. Il sonno aveva giustiziato la frenesia dei bambini, riversi su divani e tappeti come in una strage degli innocenti allestita all’Ikea. Ma pure gli sbadigli dei grandi davano segnali di resa. Resisteva tuttavia un’inquietudine, che da intima divenne sempre più esplicita. Giunti a quell’ora, nessuno e da alcuna parte aveva visto Babbo Natale. Come scolte in allerta, gli adulti gridavano la domanda da un balcone all’altro: «Niente?», e l’eco era già risposta. Si era chiesto ai metronotte, ai fornai, ai farmacisti, al variegato popolo della notte; consultato il web che, figuriamoci, rende noti i fatti prima ancora che accadano. Per non dire la cosa più ovvia: telefonato direttamente a Babbo Natale, per sentirsi dire che l’utente poteva avere il terminale spento.
Cominciava a diffondersi nervosismo, delusione, rabbia. I sentimenti prodotti dall’egoismo umano ogni volta qualcosa vada a rovinargli la festa. Persino le luci degli addobbi rimandavano ombre torve. Aghi d’abete cadevano precoci a prefigurare la mestizia dell’epifania che tutte le feste porta via.
Ad accorgersi per prima che certi balenii erano altra cosa dalle luminarie natalizie fu la donnina del pianoterra al civico 81 di via Dalmazia. Appostata dietro la tapparella di camera, non aspettava Babbo Natale, ma, come ogni notte, voleva vedere la vicina scendere dalla macchina del ganzo. Fu lei a notare le volanti della polizia che filavano verso Nord a sirene spente per non creare allarmismi proprio la notte santa. Sulla provinciale della Quercia, alcuni malviventi, con un furgone messo di traverso, avevano bloccato e rapinato Babbo Natale. Tristissima la scena che si era presentata alle forze dell’ordine. La slitta vuota e rovesciata sulla neve, le renne strette l’una all’altra in uno scampanellio disordinato e lugubre. Del vecchio, però, nessuna traccia. Sequestrato? Ucciso e nascosto il corpo nel bosco circostante? Bella gatta da pelare per il procuratore che già aveva prenotato il Capodanno in montagna. «Confido in lei e nella sua pervicacia» disse rivolgendosi al commissario De Canio. Il quale dispose subito blocchi stradali, il controllo del traffico telefonico sul cellulare di Babbo Natale, l’acquisizione di quanto registrato dalle telecamere di sorveglianza presenti nella zona.
De Canio chiese rinforzi alla Centrale per un sopralluogo nell’abitazione della vittima. In casa c’era la luce accesa e dall’interno giungevano voci. Gli agenti circondarono l’edificio, la porta era socchiusa, pistola in pugno entrarono come avevano visto fare al cinema: armi spianate e adrenaliniche mosse con la testa; a sinistra… (libero!) a destra… (libero!). Si diressero nella stanza che lasciava intendere la presenza di qualcuno: «Fermi tutti, polizia!», urlò l’agente Cacciapuoti. Fu subito chiaro che non c’era nessuno da disarmare. Disarmante, però, apparve la situazione. Babbo Natale, completamente fatto di grappa, ronfava sulla poltrona con il televisore a tutto volume. Sopra il tavolo una lettera scritta di suo pugno e indirizzata a sé medesimo. Da Babbo Natale a Babbo Natale. Una lettera-sfogo che svelava come la rapina fosse stata una ingenua messinscena da lui architettata non trovando il coraggio di ammettere la propria incapacità a soddisfare tutte le richieste. Troppe le pretese di piccini e grandi; e troppe le differenze che doveva commettere. Anche lui strumento di quel gioco perverso secondo il quale chi ha, avrà ancora di più, chi non ha, sempre di meno. «Ora basta – si era detto – io non ci sto.» Costretto a dare le dimissioni da sé stesso e da una favola, chiedeva perdono.
Più sconsolato che divertito, De Canio disse ai suoi uomini che potevano rientrare: «Io resto un po’, vi raggiungo dopo». Con tutto quel trambusto Babbo Natale si era svegliato. Il commissario cercò di tranquillizzarlo, gli chiese dove tenesse la macchinetta del caffè e non fu facile recuperarla dentro l’acquaio che debordava di piatti sporchi. Il vecchio prese a scusarsi, a giustificare il suo gesto. Fu rassicurato: «Ora cerchi di stare tranquillo, ho visto…, ho letto la sua lettera. In effetti il problema esiste, capisco le sue ragioni.» De Canio si versò anche per sé una tazzina di caffè e, guardando la boccia vuota della grappa, aggiunse con bonaria ironia: «Diciamo che, intanto, si è voluto lanciare un messaggio in bottiglia.»
Quando il commissario uscì dalla casa di Babbo Natale albeggiava. Sotto il portico c’era un mucchio di sacchi di posta inevasa. Gli si strinse il cuore. Alzò il bavero del cappotto e si diresse verso la macchina pensando cosa dire al procuratore e come gestire la cosa con gli organi di informazione. La notizia, ovviamente, era già di dominio pubblico (tanto che fu impossibile tenerla nascosta alla Befana). Con Babbo Natale era stato concordato un suo trasferimento in luogo tranquillo, così da risparmiargli l’assedio di giornalisti, telecamere, curiosi. Le Tv allestirono immediatamente servizi speciali e dibattiti. Le immagini in onda erano sempre le stesse: la strada con la slitta rovesciata; l’inviata che indicava i sacchi della spazzatura con le letterine dei bimbi; la zummata sul citofono con su scritto Babbo Natale; creaturine piangenti per non aver trovato niente sotto l’albero; adulti imbufaliti a vario titolo. Sui giornali e nei talk intervennero psicologi, genitori, scrittori, ecclesiastici, economisti, studiosi di tradizioni popolari, docenti di cazzeggio comparato. Unanimi nel sostenere che Babbo Natale non poteva essere lasciato solo, ma che i problemi – giusti, giustissimi! – posti nella sua lettera erano di estrema complessità, riconducibili alla globalizzazione, ai mercati, ai flussi migratori, alla crisi dell’Occidente.          
Solidarietà, dibattiti ed emozioni ebbero giusto la durata di un giocattolo trovato sotto l’albero: da Natale a santo Stefano. Da allora nessuno ha più affrontato la questione: inutile credere a Babbo Natale se lui ha smesso di credere a noi.
 
[da Le rose di Kathryn, primamedia editore, 2020]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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