Arundhati Roy e il ministero della suprema felicità, un libro dedicato “agli inconsolabili”

Luigi Oliveto

14/07/2017

Vent’anni fa Arundhati Roy, scrittrice indiana particolarmente impegnata nel campo dei diritti umani, dell'ambiente e dei movimenti anti-globalizzazione, era salita sulla ribalta letteraria con il romanzo d’esordio “Il dio delle piccole cose” (Premio Booker). Oggi si ripropone all’attenzione dei lettori con “Il ministero della suprema felicità”, già uscito in Italia, Usa e Regno Unito. Pagine incantevoli e crudeli dove i protagonisti sono i reietti, nel mondo contraddittorio dell’India: dalla vecchia scalcinata Deli, alla nuova città tristemente moderna, fino alle montagne del Kasmir. Una fiaba affatto compiacente – ma di grande magia – che intreccia molte vite. Soprattutto quella di una bambina comparsa all’improvviso in una culla di rifiuti, di una donna dal forte ascendente (una Musa?) amata da tre uomini, di un terzo singolare personaggio che ogni notte, per dormire, srotola il suo logoro tappeto nel cimitero cittadino. Ha scritto Elisabetta Rasy su “Il Sole 24 Ore”: “Come in un'antica saga, ma anche in un dramma intensamente personale e passionale, ognuno dei tanti personaggi della storia si trova al centro della eterna e sempre nuova sfida tra il bene e il male, ognuno con le sue ferite e le sue fragilità che diventano l'arma vincente della battaglia”.
È un grande libro di paradossi, sentimenti, speranze nonostante-tutto. Niente, nella narrazione di Roy, appare superfluo. Nemmeno la dedica posta in esergo: “Agli inconsolabili”.
 
 
Lei comparve all’improvviso, poco dopo la mezzanotte. Non ci furono canti di angeli, né doni portati da saggi. Ma un milione di stelle sorsero a oriente ad annunciare il suo arrivo. Un attimo prima non c’era, e l’attimo successivo… eccola lì sul marciapiede di cemento, in una culla di rifiuti: argentee carte di sigarette, qualche sacchetto di plastica e pacchetti di patatine Uncle Chipps vuoti. Giaceva in una pozza di luce, sotto una colonna di zanzare vorticanti illuminate dal neon, nuda. Aveva la pelle nero-azzurra, liscia come il mantello di un cucciolo di foca. Era del tutto sveglia, ma perfettamente silenziosa e tranquilla, cosa insolita per una creatura tanto piccola. Forse già in quei primi, brevi mesi di vita, aveva imparato che le lacrime, le sue lacrime quanto meno, erano inutili.
La vegliavano un esile cavallo bianco legato alla ringhiera, un cagnolino rognoso, una lucertola color calcestruzzo, due scoiattoli indiani striati che avrebbero dovuto dormire e, dal suo trespolo nascosto, un ragno femmina con la sacca delle uova rigonfia. Per il resto, la piccola sembrava totalmente sola.
Intorno a lei la città si allargava per chilometri. Strega millenaria, appisolata ma non addormentata, nemmeno a quell’ora. Grigi cavalcavia serpeggiavano fuori dal suo cranio di Medusa, aggrovigliandosi e sgrovigliandosi sotto l’alone giallo delle luci al sodio. Lungo i loro marciapiedi alti e stretti si allineavano i corpi addormentati dei senzatetto, testa piedi, testa piedi, testa piedi, a ripetizione, in lontananza. Antichi segreti si annidavano tra i solchi della sua flaccida pelle incartapecorita. Ogni ruga era una strada, ogni strada un luna park. Ogni giuntura artritica un anfiteatro fatiscente dove si recitavano da secoli storie d’amore e di follia, di balordaggine, gioia e crudeltà inenarrabile. Ma quella sarebbe stata l’alba della sua resurrezione. I suoi nuovi padroni volevano nascondere sotto calze a rete importate le bitorzolute vene varicose che le tramavano le gambe, volevano cacciarle i seni avvizziti in un provocante reggipetto imbottito e ficcarle i piedi doloranti in un paio di scarpe a punta con i tacchi a spillo. Volevano che dimenasse i vecchi fianchi irrigiditi e che incurvasse all’insù gli angoli della bocca contorta da una smorfia per simulare un vuoto sorriso paralizzato. Era l’estate in cui la Nonna divenne una puttana.
Doveva trasformarsi nella supercapitale della nuova superpotenza più amata nel mondo. India! India! La salmodia si levava ovunque: dagli schermi televisivi, dai video musicali, dalle pagine di riviste e giornali stranieri, dai convegni d’affari e dalle fiere di armamenti, dai meeting degli esperti di economia e dai summit degli ambientalisti, dalle fiere del libro e dai concorsi di bellezza. India! India! India!
 
[da Il ministero della suprema felicità di Arundhati Roy, trad. di Federica Oddera, Guanda, 2017]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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