21/06/2013
Con il crollo della dittatura fascista si dissolsero le bardature corporative che avevano imprigionato i protagonisti dell’economia in organismi sottoposti a forte controllo statale, asservendoli ad una logica che anestetizzava tensioni e contrasti. Appena liberata Roma, prese vita una Federazione Italiana Artigiani alla quale avrebbe fatto seguito, nel novembre 1944, la fondazione della Confederazione Nazionale dell’Artigianato. Siena non fu da meno e nel giugno 1945 vi nacque una Federazione Provinciale Senese degli Artigiani (Fpsa), che si proponeva di unire in sindacato quanti erano attivi nei mestieri allora più diffusi: falegnami e calzolai, tappezzieri e mugnai, trasportatori e decoratori, per non citarne che alcuni dei più esercitati. Il dichiarato fine era quello di difendere gli interessi degli artigiani, a prescindere da ogni opzione ideologica e rappresentandone le istanze “nei confronti di qualsiasi amministrazione o autorità e di altre organizzazioni locali”. Ora le vicende che hanno segnato la storia della Cna dal 1946 al 2011 sono ripercorse con dovizia di documentazione e puntualità di analisi da Daniele Pasquinucci in un libro che non ha nulla di esteriormente celebrativo: “Il laborioso ingegno”, edito dal Leccio per conto della stessa Cna, dato alle stampe per ricostruire – come sottolinea il presidente Paolo Parodi – le vicende dell’organizzazione con la “giusta imparzialità”, mettendo in luce scelte e conquiste, difficoltà ed errori.
Storia della Cna - La Cna nacque da una scissione, si direbbe in termini partitici: interpretando la volontà di quanti intendevano opporsi al ripristino “in forme nuove della vecchia politica”. Insomma essa non accettava prudenze filogovernative ed esaltava una combattiva funzione autonoma. Se la dinamica binaria del bipartitismo non prevalse in Italia nel sistema politico, altrettanto non si può dire pel variegato mondo delle categorie economiche, che, pur in un panorama assai articolato, si raggrupparono seguendo linee di discrimine ideali ben riconoscibili. Non sorprende, pertanto, che la Cna abbia messo profonde radici nelle “regioni rosse”. Ciò non significa che non abbia ricercato intese e accordi con gli altri, con i dirimpettai della Cia dapprima e quindi con tutti coloro che, a vario titolo, erano più prossimi alla Dc e alle forze governative. La dinamica tendenzialmente unitaria promossa dalla strategia delle alleanze sollecitata in particolare dai comunisti e dai socialisti ebbe ascolto non incidentale tra gli affiliati ad un’associazione che pur si prefiggeva di concretizzare obiettivi economici parziali. Del resto alcune delle più note personalità che determinarono solidità e fortuna della Cna avevano alle spalle esperienze di orientamento antifascista o un’impegnata militanza nelle file del Pci. È il caso di una figura carismatica come quella di Carlo Carlucci, parrucchiere, carcerato a Lampedusa per la sua ferma opposizione al regime e guida indiscussa negli anni di avvio. E quanti altri nomi si potrebbero rammentare di coloro che si riunivano nella stanzetta di via Pianigiani, prima sede della Cna, non a caso concessa dalla Camera del lavoro.
Artigianato in crescita - Il quadro che emerge nel decennale dell’organizzazione è molto più complesso di quello iniziale. Si erano enormemente sviluppati i mestieri legati alla lavorazione del legno e in genere i mobilieri, i meccanici, quelli relativi all’edilizia. Si era alla vigilia del miracolo e l’artigianato era investito da fenomeni che richiedevano vigilanza e lotta. Ma l’incremento numerico va interpretato, osserva Pasquinucci, perché rispondeva anche “a logiche antisindacali e a pratiche di sfruttamento del lavoro”. Sono le ombre del boom italiano, che non vanno trascurate in nome della dilagante ideologia dello sviluppo a tutti i costi. La cosiddetta linea Carli-Colombo, che puntava su politiche deflattive e sulla restrizione del credito, fu osteggiata con determinazione. La Cna si irrobustì. All’altezza del 1964, quando il centrosinistra divenne un’alleanza organica, mobilitò i suoi iscritti, fiera di poterli rappresentare ovunque con successo: “La richiesta degli artigiani – si legge sulla ‘Voce artigiana’ dell’ottobre 1964 – è quindi quella di venire riconosciuti come forza economica autonoma in tutte le sedi, e di essere perciò consultati non solo nella fase di esecuzione, ma anche in quella di elaborazione dei provvedimenti”. Le unità locali artigianali erano all’epoca oltre 7.000 ed arruolavano circa 18.000 addetti.
Lobby - L’organizzazione si trasforma naturalmente da sindacato a lobby: senza che a questo controverso termine si debbano attribuire significati del tutto spregiativi. Fatto è che anche la Cna ambisce a unire energia di lotta e ruolo di governo, tenendo ben d’occhio le responsabilità dei poteri locali e contribuendo di volta in volta alla selezione del ceto dirigente. Il rapporto con le istituzioni si intensifica, i servizi alle imprese si rafforzano e si qualificano. Sintomatica è la piattaforma precisata nel congresso straordinario del 1991, dove si chiariscono obiettivi di nuovo rilievo: la promozione di nuove aziende, ad esempio, il sostegno all’imprenditoria femminile, gli accordi con le amministrazioni locali per la gestione di nuovi servizi pubblici. Se la “crisi delle ideologie” spinge a valorizzare la centralità degli interessi economici è anche vero – a mio parere – che favorisce una sorta di surrogatoria partitizzazione. La CNA si fa davvero un po’ “partito”, presenza cioè diramata e continua che si prospetta quale ponte tra “società civile” e istituzioni rappresentative. Secondo l’interpretazione morbida di Pasquinucci la Confederazione più che trasformarsi in soggetto politico negli anni recenti ha voluto “produrre classe dirigente”.
Cna come soggetto politico - L’uomo simbolo di questa consapevole trasformazione è stato Stefano Bellaveglia, che da leader lungimirante e carismatico degli artigiani divenne nel 2003 prestigioso e ascoltato vicepresidente di Monte dei Paschi. La “scalata” degli artigiani prosegue con Vittorio Galgani, che assume la guida della Camera di Commercio su indicazione di Cna e Confartigianato. E sarebbero molti altri gli episodi da evocare e le figure da tratteggiare per dar riscontro a questa rapida annotazione. La cronaca dei nostri giorni attesta una Cna che s’è fatta – afferma francamente Gianni Castagnini – “elemento del sistema”, del famoso e fumoso, totalizzante “sistema Siena”. Occorrerebbe trattenersi a lungo su un concetto usato in significati talmente vaghi e con insistenza talmente abusata da esser divenuto inservibile o tutt’al più buono per malevoli usi giornalistici. Certe scelte anche urbanistiche della città capoluogo sono dovute in buona misura ai disegni di Cna e non sempre sono stati felici. Certi collegamenti elettoralistici sono stati piuttosto corposi. Più che a intrecciare troppo le sue strategie con quelle dei governi locali l’organizzazione è oggi chiamata a recuperare in pieno una critica autonomia, che rifiuti nei fatti le inflessioni di un ambiguo collateralismo.
Articolo pubblicato su Il Corriere di Siena del 15 giugno 2013 (pag. 14)
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