Aleksej Ivanov, il geografo alcolista che cercava l’amore

Luigi Oliveto

21/04/2022

Aleksej Ivanov, classe 1969, è ritenuto uno dei migliori eredi della tradizione letteraria russa. Per raccontare la Russia odierna utilizza la chiave dell’horror e del pulp, perché – a suo dire – è il solo modo per rappresentare una terra maledetta dove “Mosca, la città del potere, è la metropoli vampira che succhia ricchezze e energie al resto del Paese” (intervista a Raffaella De Santis su Repubblica del 12.9.21). Lontana dalla capitale c’è infatti la grama vita di provincia, vita di sussistenza per i più, con poche risorse e molto alcol. Nel romanzo “I cinocefali” (Voland, 2020) Ivanov fa dire a un personaggio: “Qui non abbiamo tempo per le favole, porca troia. Qui non c’è niente. Qui non ci inventiamo favole, qui sgobbiamo per voi, moscoviti del cazzo. Vi siete mangiati tutta la Russia, porca puttana.” Ed è ancora la provincia profonda ad essere teatro nel romanzo “Il Geografo si è bevuto il mappamondo” ora uscito in Italia sempre per le edizioni Voland con la traduzione e una postfazione di Anna Zafesova. E’ ambientato ai primi anni Novanta nella città di Perm’, 1386 chilometri da Mosca, nel pedemonte degli Urali centrali. Qui vive Viktor Služkin, biologo ormai prossimo ai trent’anni. Un uomo giovane, dunque; ma già alle prese con il disastroso bilancio della propria vita professionale e matrimoniale. Nulla riesce ad essere (tra le aspirazioni anche quella di scrivere poesie) tranne che un finto allegrone gonfio di vodka e sconforto, circondato di falliti a lui simili. Riesce a farsi assumere come insegnante di geografia in una scuola di Perm’. Un’occupazione che non migliora le cose. Anzi, fa affiorare maggiormente frustrazioni, disorientamento, delusioni. C’è però un’esperienza che lo segna. Organizza insieme ai suoi alunni un’escursione fluviale da Perm’ a Mežen’. Ciò che risulterà essere una prova di sopravvivenza – reale e simbolica – accanto ai fantasmi della propria esistenza e della Russia sovietica (raggiungeranno anche i resti di un campo di prigionia per dissidenti). Insomma, un viaggio di consapevolezza attraverso conflitti generazionali, crisi individuali e collettive. E in tutto questo una bella storia d’amore che sembra risarcire Viktor di tutte le delusioni, persino quelle che riguardano la disperante realtà che lo circonda.
 
***
 
– Perm’-due, capolinea! – gracchiarono gli altoparlanti.
Il trenino era ormai prossimo alla stazione, quando nella carrozza entrarono due controllori ben piantati, uno dal punto più vicino, l’altro dal fondo, per tagliare ogni via di fuga. I passeggeri si agitarono, mentre il giovane seduto accanto al finestrino, con i vestiti stropicciati e la barba non fatta, nemmeno si girò.
– Biglietto, prego, biglietto, prego – ripetevano monotoni i controllori, girandosi ora a destra, ora a sinistra, mentre avanzavano lentamente verso il loro punto d’incontro, al centro del vagone.
Fuori dal finestrino scorrevano banchine, merci, treni su binari morti, semafori, cabine di manovra e pile di traversine. Più in alto balenavano i tralicci di alcune tettoie. Il giovane guardava con grande attenzione, senza minimamente reagire al fatto che presto il processo di divisione dei passeggeri in pecore e capri avrebbe riguardato anche lui. Le numerose pecore sedevano in silenzio, orgogliose, fiere senza ostentazione, mentre i pochi capri, rossi di imbarazzo, tiravano fuori i borsellini per pagare la multa, o urlavano intanto che venivano trascinati all’esecuzione.
– I vostri biglietti – disse il controllore fermandosi accanto alla fila dove era seduto il giovanotto impassibile.
Le due vecchie che occupavano i posti di fronte a lui si affrettarono ad allungare i loro biglietti, pronti ormai da un po’ e umidi del sudore delle loro mani. Il controllore li sbirciò e li azzannò rabbioso con una macchinetta cromata. La ragazza seduta di fianco al giovanotto allungò il suo biglietto senza nemmeno guardare, e il controllore lo morse con zelante pedanteria. Il giovanotto continuava a fissare il finestrino.
– Il suo biglietto, giovanotto – disse il controllore, facendo schioccare nervosamente i denti di metallo.
Il giovanotto neppure si voltò.
– Ehi, ragazzo! – lo chiamò il controllore, smettendo di schioccare.
Entrambe le vecchie fissarono con orrore il passeggero fieramente sprovvisto di biglietto.
– Ragazzo, non ci senti, eh? – chiese minaccioso il controllore.
Due capri catturati fissarono compiaciuti il giovanotto, che non si staccò dalla contemplazione dei vagoni merci su un binario distante. Sopra quei vagoni oscillavano quieti i rami dei pioppi, già spolverati di giallo.
Il controllore allungò la mano e picchiettò sulla spalla del giovanotto con la sua macchinetta azzannatrice. Quello si girò di scatto, lasciando scorrere un’occhiata interrogativa sulle bocche spalancate delle vecchie, sul controllore inferocito e sui volti ansiosi dei capri.
– Ce l’hai, il biglietto? – ruggì il controllore.
Il giovanotto guardò ansioso le sue labbra, poi la ragazza, che sussultò al suo sguardo. Il giovane estrasse le mani dalle tasche e le mosse davanti al viso, in una successione di gesti rapidi, si toccò con un dito l’angolo della bocca e il lobo dell’orecchio. Guardò ancora una volta gli attoniti presenti, fece un educato cenno col capo e si voltò di nuovo verso il finestrino.
– Che fa? – domandò sorpreso uno dei capri.
– È sordomuto – bisbigliò rispettosa la vecchia seduta più distante dalla scena.
La ragazza si irrigidì, come se avesse accanto non un sordomuto, ma un cadavere.
Il controllore non sapeva cosa fare. Gli si avvicinò il collega, che aveva intanto intruppato due greggi di capri in uno.
– Fatto? – domandò.
– Già – annuì l’altro. – Tranne questo sordomuto.
– Che fa? Non ha il biglietto?
– E come faccio a saperlo?
– Lascialo stare – consigliò il collega, e a voce alta ordinò: – Dunque. Signori senza biglietto, avviatevi all’uscita.
Il trenino frenò, l’altoparlante borbottò qualcosa di nasale, inintelligibile.
I passeggeri si alzarono e si mossero con sollievo. Dai vestiboli giunse il sibilo delle porte che si aprivano. Una delle vecchie sfiorò con dolcezza il ginocchio del sordomuto e, con uno strano gesto della mano, gli disse ad alta voce, sorridendo cordiale:
– Siamo arrivati!
Il sordomuto annuì e si alzò.
La piazza della stazione era affollata, gente schiacciata tra tutti quegli autobus, le code che si spintonavano ai chioschi, il nugolo dei villeggianti alle casse per i treni locali e i tassisti invadenti che gridavano a chiunque “Dove ti porto?”, mentre un cantante solitario con voce rotta rassicurava i passanti frettolosi di non essere ancora un ubriacone perso. Il cielo mattutino sopra la stazione pareva un prisma di cristallo, vuoto e pallido, come lo schermo di un televisore appena spento.
Il sordomuto guardò l’orologio della stazione, rabbrividì per il freddo e si avviò al chiosco più vicino. Allungò il collo dalla gola mal rasata, sbirciò la vetrina da sopra le spalle della gente in coda, individuò qualcosa di suo gradimento, estrasse dalla tasca una banconota malridotta e si chinò verso la finestrella.
– Una bottiglia di birra, e aprimela subito – disse rauco.
 
[da Il Geografo si è bevuto il mappamondo di Aleksej Ivanov, trad. di Anna Zafesova, Voland, 2022]
 
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Luigi Oliveto

Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004),...

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