A Ponte a Greve
14/04/2020
In questi giorni di quarantena ho assistito a un prodigio: la visione di un mondo scomparso. E non perché – come dicono alcuni – il mondo di prima sarebbe finito. Il fatto è che ho ritrovato cose che forse non incontravo più da trent’anni. Le strade di Ponte a Greve deserte, via Pisana dritta come un fuso, la prospettiva libera dall’ingombro delle auto. Solo qualche anima sporadica, diretta come me a fare la spesa nel piccolo alimentari davanti alla chiesa. Ritmo blando, lo scorcio del vecchio ponte sulla Greve che si staglia contro un cielo come neanche lo ricordavo.
Sembra un’istantanea degli anni ‘60 in cui qualche mese fa mi sono imbattuto su internet, con una signora che passava col bambino davanti al tabernacolo all’estremità opposta del ponte. Vedendola, ho pensato che quel mondo, così vuoto e pacifico, non potesse più ripresentarsi. Adesso, però, le sfortunate circostanze della pandemia hanno aperto uno squarcio di assenza in cui quell’atmosfera si è nuovamente materializzata.
Cerco di tirarmi su recuperando almeno una nota positiva in questo momento che non avrei mai immaginato di vivere. E il paradosso è che mi sento un po’ come in altre situazioni di vita di paese, durante alcune delle mie residenze letterarie in giro per l’Europa. Penso in particolare a Birr, nel centro dell’Irlanda, o a Tarazona, in Spagna. Dev’essere per via di questa dimensione di borgo, tornata a espandersi per effetto delle misure adottate dal governo. Il paese ha ripreso il sopravvento sulla città, spostandomi nel tempo e nello spazio proprio ora che la libertà di movimento è ridotta al minimo.
Faccio la spesa, carico il mio carrello portavivande e torno verso casa imboccando l’argine della Greve, che più o meno da una vita è il corridoio preferito delle mie meditazioni. Le rotelle sobbalzano sulle gibbosità del sentiero, mentre in lontananza già vedo la piccola cascata che il torrente forma davanti a un vecchio mulino ristrutturato. Le case sulla riva opposta, colorate e coi panni stesi a sbattere piano su sostegni metallici, sanno di Quartiere degli Artisti praghese rivisitato in chiave moderatamente hipster. Così, almeno, pensavo prima. Adesso anche loro sono tasselli di uno spaziotempo alieno – o meglio, perso e ritrovato, in questo disgraziato marasma globale –, e forse un tacito viatico per una futura ripartenza meno caotica, isterica e atteggiata. Più silenziosa e genuina.
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During these days of quarantine, I’ve witnessed a miracle: the vision of a vanished world. And not because – as many people say – the world of before is over. The truth is that I’ve found again things that I hadn’t come across for over thirty years. The streets of Ponte a Greve are empty, Via Pisana is as straight as a string, its perspective free of cars and whatever obstruction. Just a few walking souls, bound like me to the small grocery store opposite the church. A slow pace of life, the view of the old bridge over the stream Greve standing out against a sky so blue that I can’t even remember.
It looks like a picture from the 60s that a few months ago I found on the web, with a lady walking with her little son past the tabernacle at the other end of the bridge. Upon seeing it, I thought that such an empty and peaceful world would no longer reappear. Yet, the drama of the current pandemic has at least opened a gash of absence in which that atmosphere has materialized again.
I try to cheer myself up recovering one positive note in this moment, that I never expected I would live. And the paradox is that I feel a little bit like in other village-life situations that I experienced during some of my literary residencies around Europe. I particularly think of Birr, in the heart of Ireland, or Tarazona, in Spain. It must be the effect of this hamlet-like dimension, that has expanded again due to the measures adopted by the government. The village has gained an upper hand over the city, shifting me in time and space right when our freedom of movement is reduced to a minimum.
I buy some food, load my trolley and walk back home along the Greve embankment, which has been the favourite corridor of my meditations almost throughout my life. The casters jump on the humps of the ground, while, off in the distance, I can already see the little waterfall formed by the stream in front of an old renovated mill. The houses on the opposite bank, colourful and with hanging clothes rattling softly on metal props, remind me of Prague’s Art District, reinterpreted in a moderately hipster key. But that’s what I used to think before. Now they, too, are pieces of an alien spacetime – or rather of one that was lost but has been found again, in the unfortunate global chaos of this period –, and maybe a silent encouragement for a new beginning to come. Less chaotic, hysteric and pretentious. More silent and genuine.
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