A fuoco i romanzi, i Paridi della letteratura
22/05/2020
Da sempre sosteniamo che la buona scrittura viene da/dopo una lettura assidua e curiosa. Oggigiorno, ci lamentiamo che i giovani leggono troppo poco, e ogni cosa o quasi ci va bene, purché leggano un po’. Ai tempi di Gaetano Angeli, quando alla conclusione dell’Anno scolastico 1820 lui tenne il suo discorso in un Collegio di Verona davanti alle studentesse, immortalato nel libro che vedete, sembra che invece ci fossero problemi di abbondanza. Non era in discussione che si leggesse, il problema era solo stabilire cosa. E, se ne necessario, i libri si potevano ancora proibire e addirittura minacciare di bruciarli. Bei tempi. Vuol dire che quanto meno erano importanti. Duecento anni dopo il mondo è capovolto: chissà cosa direbbe il pio Gaetano Angeli vedendo la nostra situazione. Lui ce l’aveva coi romanzi. Sì. I romanzi. E non perché non li capiva. Anzi, tecnicamente li capiva fin troppo bene: dal momento che presenta una parte di invenzione e una parte di realtà storica, per esempio quello del romanzo storico è in effetti un genere “ibrido”, un ossimoro letterario basato sula fiducia che il lettore (il quale non mancherà di chiedersi quanta parte di verità ci sia nei fatti narrati) ripone nella sua controparte, lo scrittore, il quale in concambio accetta di limitare la propria libertà inventiva, sottoponendola al vincolo della verità storica. E lui infatti si lamenta nel suo pamphlet proprio di questo: va studiata storia, non una storia sulla storia, perché nel migliore dei casi sarà una lettura parziale dell’autore, nel peggiore addirittura un travisamento della “realtà.
Letterariamente il 1820 rientra tra gli anni di svolta, il genere romanzesco deve ancora dare il suo meglio: Walter Scott aveva pubblicato “Waverley” 6 anni prima, “Ivanhoe” solo un anno prima. Renzo e Lucia si agitavano ancora nella testa di Manzoni, visto che la prima edizione dei Promessi sposi è del 1827. Gaetano Angeli però si sente già accerchiato: le lettere sono un dono del cielo il cui primo nobilissimo ufficio è il foco delle umane passioni estinguere e la nave dirigere dei troppo fervidi desideri mentre i romanzi fanno invece il contrario e aggiungano legne all’incendio e vele e remi al misero legno che va per filo a urtar negli scogli. Per cui in guardia, o fanciulle: Or questa inclinazione che lasciata andare a sua posta può riuscir funestissima vi fa avvertite che vi guardiate dal legger Romanzi siccome quelli che questa inclinazione assecondano e le danno la spinta e sono mantici che d’una scintilla innocente una gran vampa accendono struggitrice d’ogni virtù. Angeli tuona sempre più forte, in una escalation che ai nostri occhi si fa tragicomica: Sono dessi (i Romanzi) la peste dei giovani il disonore degli studj o più vivamente Paridi della letteratura. I romanzi nell’ordine dovrebbero essere messi al rogo perchè:
-Hanno distrutto interi popoli, a cominciare dal rammollimento dei vigorosi Greci perché colla mollezza di sdolcinati racconti la virtù snervano e quella forza le tolgono necessaria a durare costante all’urto delle passioni e rendono l’uomo femmina e la femmina canna e vincastro arrendevole ad ogni vento Di qual tempera uomini erano i Greci delle Termopile e di Maratona Di qual rovere impastata avevano la persona se nè fame nè sete nè sole nè vento nè pioggia domavali. Di qual metallo cinto avevano il cuore se lo squillo Ma poichè ricevette la Grecia e si diede al leggere i Milesj Romanzi che già avevano e Jonia e Lidia e Sibari contaminato Greci non furon più Ma delle fatiche e paurosi dei rischi e infrolliti nell’ozio i figli di que Leoni si lasciavano siccome zebe vendere in branco lieti e contenti d ogni servaggio purchè non proibisse loro il padrone ungersi la persona arricciarsi la chioma e quali vittime coronate inghirlandarsi di fiori Quello impertanto che nè venti anni di guerra nè tremila navi nè tre milioni di agguerriti nemici poterono contro la Grecia senza gloria e strepito d armi fecero le molli oscenità di Mileto.
-Hanno traviato intere generazioni di adolescenti tanto che, venuta a contatto con un Romanzo, pietà mi strinse al vedere come giovinetta fanciulla spirato ch’ ebbe fuori del Monistero per pochi mesi l’aria della casa paterna e del mondo cangiò d’improvviso così di affetti e contegno e costumi da più non distinguerla le educatrici a loro alunna se non era alle lagrime del dolor loro quasi materno Ella per lo innanzị nel parlar savia nel vestire onestissima vereconda nel portamento ad ogni nuova persona selvatichella e foresta ad ogni menomo scherzo pudicizia sulle sue guancie la vermiglia insegna stendeva Ma passarono pochi mesi che pareva la sfacciataggine in dalla prudenza de suoi educatori avviata.
-Sono generatori di allucinazioni collettive in grado di alterare completamente la nostra percezione del mondo: a chi legge Romanzi pare accadere in breve quello che succede a noi quando leggiamo gl’Idillj di Teocrito e Gesner i quali tanta freschezza spirano e amenità e con tanto d incantesimo ci descrivono le pastorali delizie che quasi ne verria voglia di andare a pascere pecore e fare ricotte Se stiamo ai Buccolici gli abitatori della campagna sono o venerandi vecchioni d una vispa e verde vecchiaja o giovinotti ricciuti e biondi o villanelle con guancie impastate di latte e rose a cui anche dolci poetici nomi appiccano di Testili Corische e Amarillidi . Ma la realtà, come si sa, è ben diversa: Quando invece nei mandriani e coltivatori de non poetici nostri campi veggiamo bruni volti maceri corpi sudici vestiti e stento ed inopia e quelle Amarillidi de poeti sono Antonie Bartolommee Mattee plebei nomi e tapine femmine cotte dal sole e dalla fatica dilombate e diserte E lo stesso pur dite e del godere l’aperto Sole e del sedere all’ombra e del camminare scalzi per l’erba e del raccogliere senza una spesa al mondo le insalate i grappoli i frutti E non ricordano che il Sole li brugia che all’ombra non vi possono stare che ciottoli e spini frugano loro le piante e che conviene lor mani incalliscano sopra la vanga e si dilombino prima che giungano a raccorre un gambo d indivia o una rapa.
Si sa, niente è più distante dai vapori della letteratura di chi in realtà, con bellissimo termine si ammazza di lavoro cioè “si dilomba”: romanzieri braccia rubate all’agricoltura, sembra dirci l’Angeli, gente che ti fa voglia di andar a fare ricotte e chissà che qui non abbia ragione. E giù un profluvio di sciagure da Armageddon fino all’inevitabile tramonto della civiltà causato sempre da loro, i romanzi. Non so voi, ma pagherei molto per poter vedere solo un attimo la faccia di quegli studenti che ascoltavano il suo discorso. Eccovi il mondo una nuda campagna una landa un deserto Già l’uno dopo l’altro ruinano gli edifici chè non v’è tempo d ergerne di nuovi o ristaurarne di antichi Già si chiudono i sacri templi chè non han tempo i Sacerdoti da consacrarlo in cantici e sacrificj Si chiude il foro che non han tempo i giudici da ascoltar le ragioni de litiganti Già non v è chi muova le calcole di un telajo chi aggiri una ruota ed ecco spegnersi l arti Già non si fabbrican negli arsenali le navi non v è chi reggale in mare ed ecco morto il commercio Non v è chi guidi una doccia o affondi un canale o argini un fiume ed ecco l acque uscite dagli alvei venire con nuovo diritto a innondar l’universo Che cercare allora o Fanciulle vestiti di seta pannilini merli opera di tante mani Una pelle d Orso fetida e insanguinata gettatavi indosso come va va vi coprirebbe alla trista Che parlar poi d’arti belle d’utili scienze di musiche armonïose
Insomma chi legge i Romanzi rattrista l’anima l’ammollisce ed istracca ne smugne il primo fiore purissimo delle giovenili passioni e ruba finalmente e disperde il fior degli anni per acquistarsi la peggior merce che v’abbia al mondo melanconia menzogne ed errori. Ma il peggio di tutti è altro: i Romanzi trovano la felicità dove non in realtà non c’è, e i romanzieri, gente perversa, oltre essere colpevoli di non rappresentare un mondo perfetto sono colpevoli di immaginazione. E per giunta con più scandaloso vocabolo dicono altri ammazzare il tempo per questo solo innocenti ancor non sarebbero. Il tempo non va mai ammazzato, perché è il dono più grande, e deve essere tutto devoto alla realtà. D’ora in poi converrà leggere i romanzi con molta più precauzione.
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