La casa di uno scrittore – modesta o ricca che possa essere stata – non è mai una semplice amalgama di calce e mattoni. Nelle sue stanze vuote, negli interstizi più reconditi, sotto la patina di polvere che il trascorrere del tempo vi ha depositato, nelle crepe che, come rughe, hanno segnato l’intonaco c’è, sempre viva, la presenza di chi vi ha abitato, i suoi pensieri, le sue idee, la vita dei personaggi plasmati dalla sua penna. La casa di uno scrittore è, dunque, patrimonio storico e culturale di una comunità. Ed è luogo dell’anima per i lettori. È un “genius loci” che l’umanità deve veder preservato come punto di riferimento delle proprie emozioni e come fonte di ispirazione per il futuro. Ecco, dunque, che è difficile – anzi, inaccettabile – immaginare che il mondo debba rinunciare all’esistenza di Undershaw, la casa che Arthur Conan Doyle fece costruire ai margini del villaggio di Hindhead, nel Surrey, ad un’ora di treno di Londra, e nella quale visse dal 1897 al 1907. Perché questa casa – la casa di Doyle – rischia di essere abbattuta per far posto a un complesso di villette. Per salvarla e restituirla alla disponibilità del pubblico è in corso, ormai da anni, una battaglia legale promossa dalla Undershaw preservation trust che riunisce scrittori, registi, attori e lettori innamorati delle gesta di Sherlock Holmes e delle opere di Doyle. Ed ecco che, invece, è bellissimo pensare che acquistando un libro (Sherlock’s Home: La casa vuota – MX Publishing) si possa contribuire al tentativo di salvataggio. Sento già qualche mugugno e vedo già qualcuno storcere il naso. Come può, Undershaw, essere considerata la casa di Doyle se ci ha vissuto per una parte minima della sua vita? Eppure, è proprio così. Questa è la casa, e nessun’altra. Le ragioni sono tantissime, e tenterò di spiegare, così come avevo accennato in un post sul blog dove parlo di libri almeno le più importanti…
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