“Un libro deve far riflettere”. Parla Biancamaria Scarcia Amoretti autrice de “Il Corano-Una lettura”

il 24/05/2010 - Redazione

Lo studio come strumento per capire e avvicinarsi a chi sembra anni luce distante da noi, lasciandosi alle spalle pregiudizi e inutili stereotipi. E’ quello che fa ogni giorno Biancamaria Scarcia Amoretti, massima studiosi della religione musulmana. E proprio per presentare il suo libro “Il Corano – Una lettura” edito da Carocci, l’autrice nei giorni scorsi era a Siena all’Università per Stranieri in un incontro organizzato da Alessandra Persichetti, docente di Antropologia culturale dei paesi arabi e da Akeel Almarai, docente di Lingua e Letteratura Araba.

Questo libro si propone di far capire la realtà musulmana a chi musulmano non è. Perché?
“La mia intenzione è far capire cosa significa per un musulmano il Corano, cioè il libro fondante. Bisogna fare una distinzione tra quello che è il libro, il Corano, e quello che è la lettura che i musulmani ne hanno dato nella storia. Deve essere visto con gli occhi dei musulmani, non per quello che dice ma per come lo definiscono: “Parola di Dio”, scesa dall’alto. E’ il tramite tra Dio e l’uomo. Uno puo’ accostarsi a questo libro da laico, da non musulmano, ma anche come ci si accosta ad un libro sacro, assumendo come punto di vista quello dei diretti interessati”.
Si è chiesta come il mondo musulmano avrebbe visto questo libro?
“Mi assumo tutte le responsabilità, perché mi sento autorizzata a scrivere un libro sul Corano. La prima volta che l’ho incontrato, è stato durante un viaggio in Egitto, mentre ero ospite di una famiglia molto religiosa. Il padre mi ha insegnato la lettura del Corano insieme alla sua bambina più piccola. Era un momento in cui c’era molta speranza nel mondo arabo e più in generale nel mondo mussulmano, perché era finita la Seconda Guerra Mondiale e la decolonizzazione era cominciata. Tutti eventi che davano speranza e tra queste c’era quella di un musulmano praticante che mi consegnava il Corano. Ho scritto questo libro anche in sua memoria”.
Oggi c’è veramente voglia di capire il mondo musulmano?
“Avrei potuto scrivere questo libro qualche anno fa. Invece l’ho scritto ora che c’è un rischio più forte. Il fenomeno islamico è sempre stato considerato una deviazione dal cristianesimo, una emanazione del male. Mi è sembrato doveroso scrivere ora questo libro. Pur con il rischio che poteva essere mal preso dai musulmani perché non sono musulmana, e dalla nostra cultura perché ho molto rispetto per il Corano, di quello che i musulmani pensano del libro e perché anche a me, non religiosa, trasmette delle cose religiose. Per ora i riscontri sono positivi da entrambe le parti. Noto, però, che è un testo che è più accettato da chi è religioso. Speravo fosse utile anche in una funzione più politica, per ricominciare il discorso del dialogo su una base di maggiore parità, non di sguardo dall’alto come facciamo noi”.
Secondo lei un libro può aiutare a superare pregiudizi?
“Un libro dovrebbe spingere a riflettere, offrire parole, contenitori entro cui mettere le azioni degli altri. Siamo in un mondo senza certezze, una realtà che considero positiva perché può emergere una non certezza che permetta di costruire, anziché vivere nelle certezze del passato , spesso errate. E’ un’occasione di riscatto, abbiamo un know how non indifferente, possiamo metterlo a frutto”.
Come vive le attuali discussioni intorno alle costruzioni delle moschee in Italia?
“La moschea non è una chiesa, è un luogo di raduno. Porto spesso i miei alunni nella grande moschea di Roma per insegnare loro dove andare quando vogliono capire qualcosa. Avremo poche possibilità di entrare nel mondo globale da protagonisti se non accettiamo il diverso, ammesso che lo sia. L’integrazione è facile, ma bisogna stare attenti perché non vuol dire assimilazione. La sua massima espressione è quella che si sta verificando oggi anche nella nostra letteratura: l’esistenza di romanzi scritti da arbofoni in italiano”.

Susanna Danisi


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