Il viaggio è da sempre metafora della vita, dall’Odissea in poi. E il deserto, spesso, nell’immaginario collettivo simboleggia la difficoltà estrema: è il luogo ostile per eccellenza che meglio rappresenta le avversità dell’esistenza. Tutti simboli magistralmente utilizzati da Tiziana Iaccarino nel suo primo romanzo dal titolo “Un barlume di speranza”, edito da Giovane Holden Edizioni. Un diario, quello di Giselda: una donna sperduta nel deserto insieme ad un suo accompagnatore. Un diario nel quale la protagonista appunta, giorno per giorno, tutte le vicende e le sensazioni riguardo alla propria terribile lotta per la sopravvivenza nel mezzo del deserto del Sahara. Disperazione, senso di morte, consapevolezza della fine. Un viaggio che non appare essere un viaggio, poiché sembra non portare da nessuna parte se non incontro alla morte. Appunti che la protagonista scrive soltanto per poterli lasciare accanto al proprio cadavere. Ma un barlume di speranza non lascia mai i protagonisti, e da qui il titolo del libro. Quel barlume di speranza che risiede dentro di noi anche nei momenti più difficili: è quell’istinto di sopravvivenza che arde dentro l’essere umano in maniera innata, è il “Vaso di Pandora” dal quale il mito fece uscire per ultima la Speranza. E la speranza della protagonista Giselda, quel barlume che le ha permesso di rimanere in vita anche in una ambiente ostile come quello del Sahara, diviene una solida realtà quando si rende conto di essere arrivata a Gabes, piccolo centro abitato. Un racconto scorrevole che appassiona, coinvolge, commuove. Alla fine Giselda diviene madre, madre di una splendida bambina chiamata Speranza. Un dono del cielo, come lo definisce Tiziana Iaccarino per mezzo della penna di Giselda: un dono divino che non poteva che essere chiamato con tale nome. Una storia drammatica a lieto fine che permette di riflettere sulla caducità della vita ma anche su come sia importante non abbandonare mai quel forte sentimento che risiede nel profondo del nostro cuore anche nelle situazioni più disperate: la speranza.
Duccio Rossi
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