Uno scrittore tramanda il proprio essere attraverso le pagine dei suoi libri ma anche attraverso i suoi figli o nipoti. Forse è pura suggestione di fronte a chi conserva solo il cognome di chi non hai mai conosciuto ma avresti sempre voluto incontrare. O forse quell’introspezione e quel saper leggere il mondo in modo diverso per poi trascriverlo nelle pagine di un libro sono doti talmente profonde che si tramandano di generazione in generazione. Fatto sta che certi aspetti di Federigo Tozzi forse non si leggono nelle pagine dei suoi libri quanto invece nelle parole della nipote Silvia che oggi sovrintende con competenza e sensibilità alle carte e alla memoria del nonno e vive nella famosa “casa rossa” della strada dei Cappuccini, quella in cui Federigo ambientò molte pagine del romanzo autobiografico “Con gli occhi chiusi”.
Se la critica ha riconosciuto a Federigo Tozzi valore e importanza nel 900 letterario, si può dire che c’è un uguale interesse da parte dei lettori e del mondo editoriale?
“E’ un po’ parziale quello che viene presentato al pubblico di Federigo Tozzi: più spesso edizioni di Con gli occhi chiusi, o anche di Bestie, meno Il podere e Tre croci. Comunque i suoi libri non restano invenduti sugli scaffali ed è come se ci fosse un interesse sotterraneo che dura sempre. Non si capisce se i lettori sono giovani, anziani, studenti incoraggiati dai professori. Il fatto è che non è un autore facile, lo capisco, bisogna essere particolarmente motivati per proseguire e approfondire la lettura di un suo libro”.
Sono quindi di più le opere pubblicate o quelle non ancora pubblicate?
“Tutto è stato pubblicato, ma il fatto è che ci sono libri esauriti da tempo, in particolare quelli curati da mio padre Glauco e usciti da Vallecchi fino alla fine degli anni ’80; parlo di Cose e Persone (che contiene anche Barche capovolte e Paolo oltre a Bestie), del romanzo incompiuto Adele, le Poesie, il Teatro, Novale, il carteggio Tozzi-Giuliotti, le Novelle. Per fortuna esiste ora una riedizione completa delle novelle (Bur Edizioni Rizzoli), la cui qualità narrativa non è certo inferiore a quella dei romanzi, e di Novali è uscita una riedizione presso Le Lettere. Ricordiamo che è uscito anni fa anche un Meridiano con le Opere di Tozzi ,a cura di Marco Marchi”.
Rispetto ai temi trattati qual è l’attualità del Tozzi scrittore?
“C’è una realtà che è il regno del falso per lui e quindi la sua ricerca, anche molto dolorosa, si spinge nel pozzo profondo che ha dentro di sé e che poi, attraverso sé stesso, vive nei suoi personaggi. La realtà è come frammentata e i frammenti e i frammenti di esperienze si ripercuotono nell’emotività dell’autore in una maniera tutta particolare. Potrebbe essere avvicinato ad autori che avevano una prospettiva psicoanalitica come Svevo o Pirandello. Tozzi però non ha un interesse a prendere le distanze dal mondo che descrive, scrivere è per lui un modo per esprimere un sentire sotto gli urti della realtà. I personaggi di Tozzi sono quasi ostici da affrontare per il lettore perché lo mettono di fronte a qualcosa che di solito si preferisce non sapere fino in fondo. Chi legge cerca di solito nel testo una corrispondenza positiva o qualche consolazione. Ecco, in Tozzi questo non c’è assolutamente ma, forse, è anche questo il motivo per cui si può leggere anche più volte “Con gli occhi chiusi” e ritrovare sempre qualcosa di diverso che emerge attraverso lo scavo a cui ci invita. Per questo Tozzi è di difficile lettura ma è anche per questo che è un autore moderno”.
Svevo, Joyce, Pirandello, Kafka. Quale tra questi autori ai quali è stato accostato Tozzi secondo te gli è più vicino?
“Direi che il più avvicinabile è Kafka che si trova, come Tozzi, in una condizione di dolore nella realtà che vive. Gli altri hanno quasi sovrapposto un diaframma scientifico a questa condizione”.
In tutti questi autori è forte il rapporto con la città dove sono nati e hanno vissuto. Qual è stato invece il rapporto tra Tozzi e Siena?
“Intanto bisogna considerare la Siena ristretta nel suo tempo, con le sue cattiverie, la penuria, gli amici da cui alla fine si è sentito tradito. I cittadini lo vedevano come un personaggio fuori dai ranghi perché non era né un popolano né un aristocratico, un borghese tantomeno. E oltre ad essere indefinibile socialmente era imprevedibile nei comportamenti e quando ha cominciato a scrivere sui giornali o a essere conosciuto è stato anche oggetto di invidia e non comprensione. Questa era la Siena da cui è fuggito nel 1914. L’altra era la Siena che lui amava appassionatamente, quella che aveva conosciuto nelle biblioteche con le cronache del medioevo, e osservandone gli scorci. Tra le mura si sentiva prigioniero e sentiva molto il richiamo degli spazi lontani intravisti da Castagneto. Il passaggio a Roma, alla fine, ha comportato una distanza che può essere stata positiva, nel senso che gli ha permesso di rivivere Siena e i suoi anni giovanili senza essere distrutto da un ambiente per lui soffocante. Era uno spirito libero in cerca della propria strada”.
E questa incomprensione tra Tozzi e Siena prosegue?
“Forse continua sì. Quella Siena delle menti ristrette non c’è più come non c’è più la condizione di povertà diffusa che c’era a quel tempo. Oggi Siena ha e vuole darsi un’immagine brillante e forse continua a non amare questo autore perché non è disposta a identificarsi con chi la descrive attraverso le sue piccolezze o le sue meschinità”.
Perché a volte si ha questa sensazione che Siena non riconosca a Tozzi quel ruolo di prim’ordine nella letteratura italiana riconosciutogli invece dal mondo accademico?
“Forse anche per il fatto che non c’è stata una trasmissione efficace attraverso i media dei risultati raggiunti dalla critica letteraria. E poi perché non è un autore che si può lanciare come figura della letteratura italiana come è stato ad esempio per Calvino o Moravia. Anche le sue traduzioni all’estero sono state relativamente poche per il fatto che è difficile tradurre il suo linguaggio. Stessa cosa per la critica che si è sviluppata in Italia, di questa non è arrivato niente all’estero”.
Che effetto fa vivere ancora oggi nella casa che tuo nonno ha descritto in ripetute pagine?
“Io ho un attaccamento fortissimo ai miei personali ricordi, di quando Castagneto era campagna, con i contadini al lavoro nei campi, gli animali nelle stalle e sull’aia. Era come se Federigo se ne fosse andato da poco, e c’era ancora la nonna Emma che è vissuta fino al 1953. Naturalmente le cose sono molto cambiate da allora, e quindi conservo quelle immagini solo nella mente. Questo distacco dalla realtà di allora è difficile da spiegare addirittura alle persone più giovani. Per quanto si possa dire che qualcosa di Federigo si respira ancora a Castagneto. E anche per quanto riguarda Siena posso dire di sentire l’impatto emotivo di certi scorci descritti nelle sue pagine ma devo fare uno sforzo per immaginare la città del tempo di Tozzi.”
Cosa penserebbe Tozzi di una Siena capitale europea della cultura?
“Chissà, forse se ne sarebbe andato da Borgese in America, avrebbe cercato, credo, altre strade a meno che non avesse voluto mettersi in gioco in tutto e per tutto nel rapporto con questa città”.
Cristian Lamorte
SOTTO TORCHIO
LIBRO E AUTORE PREFERITO
Leggo sempre più libri alla volta, e ho diversi autori preferiti.
L’ULTIMO LIBRO LETTO
"E' Oriente" di Paolo Rumiz; "Istanbul" di Pamuk; "Naufraghi della pace. Il 1945, i
profughi e le memorie divise d'Europa", a cura di Guido Crainz, Raoul Pupo e Silvia Salvatici; "Nel ventre della balena e altri saggi" di George Orwell
IL LIBRO DA CONSIGLIARE AI LETTORI
"La Russia di Putin" di Anna Politkovskaja; "La strada di San Giovanni" di Italo Calvino; , "Prima della quiete. Storia di Italia Donati" di Elena Gianini Belotti
LEGGERE E’…
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