Storia di lacrime e sangue, ricordi di Siena durante la Prima guerra mondiale

il 26/05/2014 - Redazione

Lo scontro tra pacifisti a oltranza, neutralisti e interventisti fra l’agosto 1914 e il maggio 1915 provocò anche a Siena pubbliche manifestazioni e aspre polemiche giornalistiche, concluse con la chiusura di tre testate locali – “Lotta di classe”, “La Martinella” e “Il Dovere Socialista” – poco dopo l’entrata in guerra dell’Italia a fianco dell’ Intesa. Anche gli altri giornali furono comunque sottoposti a una severa censura, come le lettere spedite dal fronte e quelle ricevute dai soldati.
Nonostante tali precauzioni, nella corrispondenza di molti caduti senesi e della provincia -pubblicata a Siena nel 1921 e raccolta in due volumi da Maria Notari Olivotti sotto il titolo “Luce di scomparsi” - si coglie qua e là il senso d'una drammatica esperienza e d'una profonda disperazione. I lamenti per l'aumento dei prezzi della carne e dello zucchero e per la cattiva qualità del pane si aggiungono sulla stampa locale agli annunci continui dei caduti; il diciottenne Amedeo Boscagli è stato ucciso con addosso la maglia a scacchi bianco-neri della Robur, la società sportiva nata nel 1904; si piange poi la scomparsa di una crocerossina senese, Elena Riccomanni, partita per il fronte insieme con la giovane moglie del conte Guido Chigi Saracini, anche lui volontario della Croce Rossa alla guida di un'ambulanza. Nel diario di guerra del conte molti sono i dubbi manifestati sul cosiddetto irredentismo e molte sono le amare considerazioni nei versi in vernacolo di un giovane tenente, che si firma Tignola e che pubblica a Siena nel 1917 una piccola raccolta di rime dal titolo “Verità e maldicenza”. Fra le poesie non censurate, una prevede la temuta enfasi celebrativa una volta concluso il conflitto: “Di nuovo non vedrem che i mutilati / passar con le stampelle; / ma non ci siamo forse abituati / ormai anche a quelle ? / E quanto si starà a dimenticare / nei dì della vittoria / i morti che si son fatti ammazzare / per scrivere la storia ?”
Una pagina di tale storia legata a Siena è quella della Cengia Martini, uno stretto ripiano sulla parete rocciosa del Piccolo Lagazuoi, che nelle Tofane domina, a 2500 metri , i Passi Falzarego e Valparola. Sotto il comando del maggiore Ettore Martini, senese d'adozione, un battaglione di Alpini resistette per venti mesi in quella scomoda postazione non ostante le mine fatte brillare sotto la cengia dagli austriaci. Per schernire o provocare i nemici, Martini dopo la terza mina trasferì sul bordo della cengia la fanfara del battaglione, che eseguì un estemporaneo concerto bandistico, destinato a rimanere negli annali degli Alpini. Partecipi e testimoni della beffa furono anche due giovani senesi – Benedetto Barni e Ugo Bartalini – divenuti poi l'uno Ufficiale Sanitario del Comune e l'altro Sindaco della città.
La copiosa bibliografia sulle vicende della cengia battezzata col nome di Martini – che fu promosso colonnello e poi generale e che morì a Castellina in Chianti nel 1940 – si basa anche sulle testimonianze dello stesso comandante, in parte pubblicate e in parte conservate nella Biblioteca Comunale di Siena. Altre testimonianze sulla guerra di giovani senesi sono quelle , in versi, di Gino Cucchetti, del capitano Fabio Bargagli Petrucci, del tenente Eugenio Grottanelli de' Santi e quelle raccolte dal figlio del sottotenente Cesare Goretti, detto “il Mensa” per il suo ruolo di ginnasta nella Mens Sana.
Nel 1924, in occasione dell'inaugurazione dell'Asilo-Monumento, edificio destinato ad onorare la memoria dei caduti, ma nel contempo utile alla città, Piero Calamandrei scrisse, riferendosi a quei senesi, i cui nomi sono incisi nelle tabelle marmoree affisse alle pareti dell'Asilo: “Nessuna onoranza riuscirà a dir loro la devozione dei superstiti quanto la serena pace di questo asilo, nel quale essi non troveranno le clamorose declamazioni dei retori che lasciarono ad altri il morire in silenzio, ma i cori giulivi dei bimbi che cantano il girotondo e non sanno ancora quante lacrime e quanto sangue hanno dato i morti per creare la felicità di quelli che sono restati”, prospettando un “favoloso avvenire, in cui le guerre sembreranno follie di selvaggi e in cui gli uomini si accorgeranno che la vita è così breve da non lasciar tempo per la violenza e l'odio”.

Giuliano Catoni

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