Siena, 9 giugno 1311. Una grande folla di cittadini attraversa le vie della città. Non è un moto rivoluzionario e non è una manifestazione di folklore. E’ un evento religioso, unico nel suo genere. Una manifestazione di fede spontanea che non ha eguali in nessun’altra parte del mondo. E’ la festa, se così la volgiamo definire, di un’opera d’arte destinata a perdurare nei secoli. E’ una grande processione che coinvolge tutti, dal vescovo alle alte autorità cittadine, uniti in un abbraccio collettivo con il popolo che canta inni, porta candele accese ed elargisce elemosina. Il percorso parte da Stalloreggi e arriva fino in Duomo. Alla guida del corteo la Maestà, l’enorme tavola realizzata da Duccio di Buoninsegna accolta dal giubilo della città che la custodirà e conserverà per sempre. L’opera viene posata sopra l’altare maggiore del Duomo senese. Sarà quello il suo posto, è lì che si dovrà celebrare la sua bellezza, la sua unicità. Se Siena è così devota al culto della Madonna, si può certo dire che gran parte del merito va anche all’opera realizzata da Duccio. Un’opera che va al di là dell’ordinario credo religioso, che lo trascende. In quest’opera si può soprattutto cogliere il carattere di grande valore civile, forse molto più che religioso, che la tavola rappresentò per il popolo senese di quegli anni. In opere del genere si celebrava non solo il gusto estetico di una città, ma soprattutto si affermava la propria grandezza in un simbolo che ne rendeva visibili i valori condivisi. Ed è appunto “maestoso” vedere questa partecipazione collettiva, questo sentimento che abbraccia tutti e che riunisce un’intera popolazione. Un sentimento che rimane inalterato nel tempo e che, ancora oggi, 700 anni dopo, rende i senesi fieri di essere gli abitanti della “Città della Vergine”. E forse, da qualsiasi campo la si voglia vedere, il valore e i meriti dell’arte sono proprio questi: emozione, unità nel giubilo, democrazia e libertà, partecipazione collettiva.
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