Fra i volti nuovi dell’editoria italiana, è stato “scoperto” grazie al romanzo “I cariolanti”, pubblicato nel 2009. Originario di Grosseto, Sacha Naspini ha un approccio molto diretto e senza fronzoli, sia ai temi sviluppati nei libri, che nelle interviste. Insomma, non le manda a dire, difende le sue idee e rispetto al mondo della narrativa italiana ha un rapporto molto attento, cosciente del fatto che spesso chi si muove nel settore approfitta del desiderio degli esordienti di avere il proprio nome stampato sul volume. Lui, questo pericolo, non lo corre. Ultima sua produzione il romanzo “Cento per cento” (Perdisa): la storia di un pugile che accetta una intervista…
Come nasce l’idea di “Cento per cento”?
“In un pomeriggio. La prima edizione risale al giugno del 2009, per Historica. C’era questa nuova collana, Short-Cuts, che proponeva testi veloci, di taglio contemporaneo. Mi chiesero un libro e lo scrissi. Da tempo avevo voglia di fare un pezzo un po’ becero, sanguigno. Mi girava in testa questa cosa del pugilato, vedevo un personaggio che parlava in presa diretta della sua vita, in una lunga intervista esclusiva”.
Il protagonista, Dino Carrisi, è un pugile italoamericano, il giornalista che lo intervista pure e l’ambientazione è nel Vermont: quanta strada passa fra la Toscana ed il New England?
“Una roba come 10.000 chilometri o giù di lì. Insomma, tanta strada, compreso un oceano. Forse la stessa distanza che passa tra la concezione di una storia e il renderla reale”.
Il mondo del pugilato è stato da sempre saccheggiato, sia nella narrativa che nel cinema. Cosa ritiene di aver fornito in originalità, che altri non avevano già raccontato?
“Il pugilato, rispetto a tanti altri sport, offre un immaginario e dei simboli potenti, precisi, attecchisce bene. Probabilmente non sarebbe stata la stessa cosa se Dino Carrisi fosse stato, ad esempio, un campione mondiale di pattinaggio artistico. Comunque, alla fine, il pugilato è solo un espediente per parlare d’altro”.
“Cento per cento”è stato pubblicato da Perdisa, mentre “I Cariolanti” da Elliot e nel 2012 è già prevista una nuova pubblicazione con Elliot. Vuole raccontare come è avvenuto questo passaggio da una casa editrice all’altra?
“In realtà di passaggi ce ne sono stati molti altri. Ho cominciato con Effequ, ho continuato con Il Foglio, poi c’è stata Voras, Historica (con la prima edizione di Cento per cento, appunto)… Questo è un po’ quello che sento come il “periodo della battaglia aperta”. Tutto un mondo di spallate, ci sono scantinati affollatissimi di gente che ha “scritto un libro”. Non sempre è facile. E io comunque ero fortunato: avevo pubblicazioni per case editrici medio-piccole, ma serie e di qualità. Poi un giorno mi è arrivata la proposta di Elliot. Mi scrisse Massimiliano Governi in persona, allora editor per la collana Heroes, riservata agli italiani. Aveva letto I Cariolanti, un testo che passai a Gianfranco Franchi di Lankelot qualche tempo prima. Fissammo un appuntamento a Roma. La frase che mi disse Loretta Santini, capo editoriale, fu: “Sacha, a noi interessa che tu possa preoccuparti di una cosa e basta: scrivere. Al resto ci pensiamo noi”. Insomma, mi fece girare la testa. È stato grazie a I Cariolanti che ho conosciuto Luigi Bernardi: mise il mio libro tra le migliori letture del 2009. Allora Bernardi era ancora in Perdisa, non aveva ancora lasciato le redini a Antonio Paolacci. Al momento, il mio editore “in prima” è Elliot. Invece Cento per cento apparteneva alla mia back list di titoli editati, Bernardi lo lesse e chiesi a Historica di rilanciarlo con Perdisa Pop. In primavera esco con Le nostre assenze. Un libro che parla di quel buco nero che a volte capita, tra le persone: silenzi, distanze (non solo fisiche), false intuizioni che ti fanno deragliare totalmente, e generano mostri”.
Quanto è influente la Toscana nella sua creatività?
“Fossi nato altrove sarei diverso in tutto, anche nel modo di camminare. La toscanità c’è ma non è solo nelle pagine, è un modo di fare, di pensare, di riassumere. Esce netta in due opere, in particolare, dove ho scelto quella voce lì in partenza: L’ingrato e I Cariolanti. Poi scrivere è una questione di personalità e scelte di registri, che non si basa solo sulle radici. Secondo me la cosa più potente che offre lo scrivere è lo smembramento profondo, qualcosa che sta a metà tra un focolaio di schizofrenia cosciente e la mitomania. Così dai voce a personaggi che non parlano come te, lo stile è sempre nuovo eppure qua e là ti “riconoscono”. La Toscana la amo soprattutto quando non ci sono, perché un po’ mi manca. Non è una questione di radici o cose del genere: è quel pezzo di terra, che volente o nolente porti dentro. C’è stato un periodo in cui questa cosa la contrastavo fortemente, poi mi sono arreso, o si è arresa lei. Fatto sta che adesso, se ci capita di sedere allo stesso tavolo, non mi dà l’urto di prima. Insomma, ci sopportiamo. Probabilmente perché nonostante abbia viaggiato un po’, ho ancora un bel pezzo di mondo da vedere”.
Fra il 2004 ed il 2010 è stato finalista o ha partecipato a diversi premi letterari. A cosa servono queste competizioni?
“Immagino a poco. I premi a cui partecipavo avevano quasi tutti dei soldi in palio. Gli altri erano atti di stima a cui tentavo una sorta di omaggio, vedi il premio Daniele Boccardi, o quello intitolato a Licurgo Cappelletti (che nel 2004 mi ha fatto incontrare Gordiano Lupi, de Il Foglio). Non sono proprio il tipo da cornici, coppe, attestati”.
Si sentirebbe di dare un consiglio ad uno scrittore esordiente sul come farsi pubblicare non pagando da solo le copie da stampare?
“È un mondo di squali, là fuori, c’è gente che se ne approfitta e l’idea di vedere il tuo nome sulla copertina di un libro fa accendere il sangue. Tutto comprensibile, perché pubblicare cose è anche una rimpatriata di proteine per il proprio ego. Così bisogna scegliere: ego o dignità? Avere pazienza e scrivere tanto; essere sinceri con se stessi, davanti allo specchio, e chiedersi: “ne sono davvero in grado?”.
Valerio Cattano
SOTTOTORCHIO
LIBRO E AUTORE PREFERITO
“Le città invisibili” di Italo Calvino e Chuck Palahniuk
L’ULTIMO LIBRO LETTO
“Viaggio al termine di una stanza” di Tibor Fisher.
UN LIBRO DA CONSIGLIARE AI LETTORI
“Knockemstiff” di Donald Rey Pollock
LEGGERE È…
A volte una perdita di tempo colossale. “Leggere fa bene all’anima, fa viaggiare, migliora la vita” a patto di avere tra le mani qualcosa che ne valga la pena.
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