Amore e odio per la propria città e per i propri concittadini nelle parole di Federigo Tozzi nelle vesti di giornalista oltre che di scrittore. Curiosa ed emblematica del suo rapporto con Siena è l’analisi, e gli spunti di riflessione che questa ci pone, di un articolo che Tozzi stesso scrisse nell’aprile del 1914 ne “La Vedetta Senese” e di un breve racconto tratto invece dalla raccolta dal titolo “Bestie” che sarà nel 1915. La curiosità ed il significato di questi due testi stanno nel trattare e raccontare vicende o sensazioni legate a piazza San Francesco che Tozzi viveva come un luogo intimo di riflessione. Proprio nelle parole, di denuncia da una parte e di profondo attaccamento dall’altra, ritorna forse un profondo legame con Siena. Qui di seguito alcuni estratti dei due testi.
Per la Piazza di San Francesco
“Per salvare la piazza di San Francesco non c’è bisogno d’essere, come si suol dire, antidemocratici: un problema artistico che riguarda Siena deve stare a cuore di tutti; e le case popolari non c’entrano niente. Noi, combattendo contro questa stupefacente camorra antisenese, facciamo due cose: assicuriamo alla piazza di San Francesco la sua quieta bellezza, e costringiamo i costruttori delle case popolari a scegliersi un luogo più comodo, più largo, più igienico e più adatto. (…). Non lo sapete che San Francesco è una delle piazze più belle d’Italia? Ve lo insegniamo noi allora. Ma ve lo insegniamo per far rilevare la vostra nauseante idiozia. Fate i professori, gli avvocati, gli impiegati? Che cosa fate? Soprattutto, fate gli imbroglioni: gli imbroglioni delle coscienze popolari, che coi vostri specchietti da allodole allenate per diventare (ineffabile ambizione!) consiglieri, o per intrufolare nelle amministrazioni, o per mestare ai castelletti delle banche. Siete bassi come i tarponi delle fogne. Ma, ora, non si deve parlare di democratici, di nazionalisti, di socialisti, di clericali; ora, tutta Siena deve aver coscienza di se stessa, e con la sua forza spirituale, che forse non è spenta, insorgere sdegnata. Ma mi nasce il dubbio che siate troppo ridicoli, troppo fantocci, per pigliarvi sul serio. Non è la prima volta, ed ho esperienza (…). Io vedo Siena così lontana dal tempo attuale e dagli uomini che la vorrebbero imbastardire, che non m’è lecito sentirmi tra i suoi figli, più affettuosi specialmente quando mi presto a mettermi a tu per tu con certa gente.
(“La vedetta Senese” - aprile 1914)
“La mattinata è fresca come le rose umide; ma tuttavia non riesce a convincermi che io possa odorarla. Tutti quei tetti attraventati addosso alla collina di Ovile si abituano a farsi guardare di quassù, di sbieco, da questo muricciolo così scalcinato che tra mattone e mattone c’entra un dito. Se la primavera ci fosse già, potrei divertirmi a guardare gli alberi fioriti; ma sono venuto troppo presto, invano impaziente. Scommetto che quando la primavera ci sarà davvero, io non ci verrò né meno. Ma finalmente capisco perché mi ci prenda questa dolcezza con la quale voglio prepararmi a scrivere alla mia fidanzata. Là, da una parte della piazza, dove la ghiaia è più consumata, c’è la porta del Seminario, verde e sbiadita, con l’architrave di marmo doventato quasi giallo, contenta di essere accanto a San Francesco, quasi sotto il campanile. Mi pare ancora di entrarci per andare a scuola. Ma c’entra il sole, con una lunga striscia che va a ritrovarsi con quella dentro il chiostro. Ed io resto nella piazza. Giù la Porta Ovile, poi i campi di olivi e di viti; e su in alto, la piccola stazione con i vagoni carichi di sacchi e legname; con una strada, per salirci, che gira più di un esse fatto per ridere sopra un muro da qualche ragazzo. È una dolcezza che, se qualche volta pare stanca, tuttavia si sente anche lontano lontano, tra le pieghe verdi dei colli dove non sono stato mai. Il campanile con i grappoli delle campane, che fanno escire per la piazza i rondoni! Ed i tetti hanno la pazienza di stare lì e l’abilità di non lasciarsi andare per riposarsi un poco! Qui, pensando alla mia fidanzata, ritrovo molta della mia vita: anche quando andavo, d’estate, all’ombra, sotto il muraglione delle Figlie di Maria ad imparare la chitarra; e dove m’ebbi un pugno e riescii a non piangere; e ricordo il cavallo che scappò dalla caserma dei carabinieri.
(tratto da “Bestie”).
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