Parole contro la paura. La sociolinguista Vera Gheno racconta il lato B della narrazione pandemica

Milano il 07/05/2020 - Redazione
A come attesa, E come emergenza, I come incertezza, O come opportunità, U come umanità. Ma anche Q come quarantena, C come casa, G come guanti. È l'alfabeto declinato con le parole della pandemia, quelle scelte dalle persone per raccontare la vita e la quotidianità in lockdown oltre la narrazione ufficiale, a scandire le pagine di “Parole contro la paura”, instant-book edito da Longanesi scritto da Vera Gheno, sociolinguista specializzata in comunicazione digitale, traduttrice dall'ungherese e docente dell'università di Firenze e della Lumsa a Roma. A introdurre ogni lemma una “word cloud”, creata con le parole raccolte dalla studiosa di comunicazione grazie ad una specie di call social lanciata sul suo seguitissimo profilo Facebook e confluita "in una settimana intensa di lavoro" in un manualetto di 118 pagine pubblicato lo scorso 28 aprile.
 
Il lato B della narrazione pandemica - "Stando tanto sui social avevo come il sentore che ci fosse una sorta di lato B della narrazione pandemica, un lato privato, fatto dalle persone che nonostante tutto continuavano a vivere e ad avere delle velleità quotidiane anche nella macronarrazione - spiega in un'intervista Skype all'agenzia di stampa Dire l'autrice - Dopo aver osservato un po' ho chiesto ai miei contatti su Facebook di spararmi, senza pensarci troppo, le prime tre parole che venivano loro in mente rispetto alla pandemia. In tutto hanno risposto circa 1.500 persone. Ho cercato di raccogliere tutte le parole, le ho divise in ordine alfabetico e per ogni lettera dell'alfabeto ho creato la “cloud”, la classica nuvola in cui si vedono più grosse le parole più citate. Ne è venuta fuori una sorta di narrazione alternativa della pandemia, che io ho trovato molto interessante".
 
Salvare le "microstorie" - Il tentativo è quello di salvare dall'oblio le "microstorie" delle persone che "continuavano a vivere nelle crepe della macronarrazione", racconta Gheno, che però non rinuncia ad intrecciare a questa sorta di lessico famigliare della pandemia quello più roboante dei media (PanMEDia) e dello spirito del tempo (Zeitgeist), che accompagnano in piccoli box ogni lettera "per far emergere il contrasto tra le due narrazioni", nella prospettiva di un "sapere estremamente relazionale". È così che alla lettera G di 'guanti', ma anche di 'gel', 'gatti', 'genitori', 'giardino', la PanMEDia contrappone il 'gregge, quello dell''immunità'', mentre lo Zeitgeist suggerisce il termine 'guerra', perché "del coronavirus si parla usando spesso un linguaggio bellico" e lo stesso virus si identifica sempre come "nemico", o ancor di più come "nemico invisibile". 
 
"Narrazione ufficiale? Una sorta di bomba libera tutti" - Una narrazione ufficiale che per Gheno è stata "una sorta di bomba libera tutti", che ha tentato "di attirare l'attenzione in tutti i modi possibili senza pensare all'onda lunga di quello che si andava a dire o a proporre alle persone". E in cui una grande responsabilità hanno avuta proprio i giornalisti, facendo "trapelare l'ennesimo decreto anzitempo", proponendo articoli "su pseudo cure smentite il giorno dopo", o riportando notizie sul "nemico del giorno", perchè "c'è una sorta di pancia della gente da titillare. Nel mio libro lo dico- continua la sociolinguista- è stata tutta una corsa a creare dei nemici: dal cinese, al terrone, al runner. Come dice ZeroCalcare è un royal rumble tutti contro tutti".
 
L'alfabeto "dell'attaccamento al vecchio mondo" - No, la pandemia per Vera Gheno molto probabilmente non ci cambierà e “Parole contro la paura” non è l'alfabeto di un mondo nuovo. Piuttosto è "un alfabeto di attaccamento al vecchio mondo, più di continuità che di cesura col passato. E questo a me dice una cosa - osserva - che cambiano le situazioni, ma quello che ci rende umani alla fine sono sempre i rapporti più intimi, le piccole cose, il mangiare, le scocciature quotidiane". E che al di là delle "prove tecniche di anormalità, vissute in questi due mesi di lockdown", che "sono nulla rispetto a ciò che vivono per anni le persone in guerra", l'attaccamento a questo alfabeto "ci ha sempre mantenuti umani". Preservare la quotidianità, dunque, è diventato un esercizio di sopravvivenza, perchè "siamo fatti di cose molto alte", ma anche di "panificazione o di lavarsi le mani o di crucciarsi perchè non si può andare a fare shopping, e va bene. Non cadiamo nell'idea del benaltrismo che siccome siamo in una situazione di sofferenza non possiamo pensare alle piccole cose velleitarie". 
 
Parole comuni e neologismi - Ma quali saranno le parole che sopravviveranno e ci accompagneranno nella quotidianità per lungo tempo? "La maggior parte sono parole comuni che in questo momento hanno un significato particolarmente forte - spiega la docente - Poi ci sono i neologismi, come 'covidiota', che sopravviverà finchè ci sarà la parola Covid. Potrebbero rimanere delle risemantizzazioni funzionali come 'tamponare' nel senso di 'fare il tampone'", un'accezione "che sicuramente entrerà nei dizionari, perché funziona troppo bene. Non credo che la pandemia provocherà dei cambiamenti irreversibili e unici".
 
'Casa', una parola per tanti significati - Una parola, però, probabilmente non sarà più la stessa: casa. È "uno di quei termini polisemici che varia moltissimo a seconda della persona e del punto di vista- sottolinea Gheno- Nella narrazione più basic la casa è il luogo dove tu abiti e, in questo momento, il luogo dove devi stare". Per Gheno, però, "non è affatto banale stare a casa. I senza tetto, in questo momento dove lo eleggono il proprio domicilio? La casa per chi è rimasto bloccato dall'altra parte del mondo qual è diventata? La stanza di un albergo o la casa di un amico?". Poi ci sono "le donne e gli uomini che magari stavano per mollarsi, per non parlare di chi ha un partner abusivo", per cui la casa può trasformarsi in una prigione, spesso teatro dei tanti femminicidi accaduti in lockdown. L'accostamento della casa in lockdown ad una prigione per la sociolinguista non è a tutti i costi un'estremizzazione: "Esiste il carcere ed esiste la misura degli arresti domiciliari. Questo vuol dire che privare le persone della libertà di circolare è qualcosa di molto pesante, percepito come una punizione. Chi nega che psicologicamente sia una cosa pesante è uno sciocco benaltrista". 
  
La parola di gheno: 'solitudine' - Sarà 'solitudine', però, la parola con cui Vera Gheno ricorderà e racconterà questo periodo: "Una solitudine che poi non c'è, perché vivo con mia figlia e tre gatti, ma che è una solitudine mentale". Popolata di quella scrittura "catartica" da cui è nato questo libro, pubblicato un po' per caso "grazie alla mia editrix in Longanesi e che poteva servire a me prima di tutto, per fissare le 'caccoline della quarantena'", che, inevitabilmente e inesorabilmente, "si perderanno".
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