Orhan Pamuk ama l’Italia, gli scrittori italiani, ma anche i lettori italiani. Nonostante un programma molto faticoso, la mattina a Firenze poi nel tardo pomeriggio a Venezia e, infine la sera in diretta tv da Fabio Fazio, non ha voluto mancare a Torino, alla Fiera del libro per ricevere la calda accoglienza dei suoi appassionati lettori in un salone stipato come per accogliere una rockstar.
E il premio Nobel turco non si risparmia. È sereno e sorridente, nonostante dal suo paese giunga l’eco della revisione del processo penale che lo vede imputato per “vilipendio all’identità nazionale”. Una vicenda che si trascina dal 2005 quando dichiarò che la Turchia si era resa responsabile del genocidio contro curdi e armeni. All’episodio dedica solo poche e rapide parole: “la Giustizia è il fondamento di un Paese e quando la gestione della giustizia subisce le pressioni della politica non è un bene. Purtroppo, la storia turca – secolare o religiosa – si carica da sempre di questioni politiche. Questa vicenda mi costringe a vedermi sempre nella cronaca politica anche se non mi piace. Ma non credo che si tratti di una cosa importante e non voglio esagerarne la portata”.
Del resto Pamuk è qui alla Fiera per parlare di letteratura, scrittori, della influenza che su di lui hanno avuto autori e libri italiani. “Ho un dialogo continuo con Dante. Con lui posso conversare perché è un grande della letteratura mondiale, ma non posso dire di esserne rimasto influenzato. Piuttosto potete trovare nei miei romanzi qualcosa di Gadda e, naturalmente, di Italo Calvino. Avevo 32 anni quando incontrai Carlo Emilio Gadda, era il periodo in cui stavo trovando la mia voce e nella sua storia detective-filosofica (si riferisce a “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”) trovai qualcosa che già avevo trovato in James Joyce, così come in Borges. Lo scrittore ti suggerisce qualcosa che, subito, non è chiaro ma poi con il tempo si chiarisce e puoi così scoprire cose altrimenti nascoste. Per questo amo i romanzi polizieschi, perché la loro struttura funziona allo stesso modo di della struttura di un romanzo: c’è un delitto, c’è una causa da scoprire, ci sono gli interpreti; tutto è misterioso ma ogni singolo dettaglio è funzionale alla storia. E alla fine improvvisamente tutto torna, tutto è chiaro e si rivedono cose sembrate inutili ma che erano solo nascoste”.
È poi noto che tra gli scrittori italiani più amati dallo scrittore turco, oltre a Antonio Tabucchi, Umberto Eco, Alessandro Manzoni, ci sia l’autore de Il Barone rampante. “Mi ha aiutato a guardare le cose con leggerezza. Il suo è un modo di vedere il mondo con sense of humor e allo stesso tempo con energia. Non si può non adorare Calvino”. Forse Pamuk è a conoscenza che la Fiera di Torino propone proprio una frase di Calvino quale introduzione al tema principale dell’edizione 2009 dedicata a “Io, gli altri”. “La conoscenza del prossimo ha questo di speciale: passa necessariamente attraverso la conoscenza di se stesso». Chissà che una frase simile non sia nascosta anche tra le pagine dei suoi romanzi.
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link a: Orhan Pamuk: Calvino, gli devo tantissimo, è uno dei miei prediletti» di Marco Ansaldo.
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