Ci sono pagine di storia scritte nei palazzi e pagine di guerra scritte tra le macerie. Dall’altro di solito arrivano le decisioni e le bombe degli aerei; dal basso arrivano la paura e le pagine scritte per raccontarla. Per devozione verso la letteratura, e non solo, siamo molto più inclini alla guerra dal basso. Non perché ci piaccia, ma semplicemente perché ci disgusta decisamente meno di quella vissuta dall’alto. Non abbiamo la pretesa di comprenderne motivi, conseguenze, azioni e reazioni di una guerra. Se non ce l’abbiamo è perché abbiamo l’umiltà di credere ed appassionarci molto di più a quanto si legge in un libro rispetto a quanto si legge in una carta geografica, molto di più a quanto si legge negli occhi vuoti di chi parla ai microfoni con la non umiltà di poterla raccontare una guerra. Ecco cosa ci ha spinto, in questi giorni, nel momento in cui la guerra è tornata inevitabilmente ad occupare i media, ad indagare, se possibile, su quello che forse i media non raccontano e non potrebbero raccontare: le più intime emozioni o paure che la guerra provoca. Ci interessava molto più questo. Saremo forse dei superficiali o degli illusi ma siamo convinti che da quelle emozioni e da quelle paure si debba partire per farsi qualsiasi tipo di opinione non sulla guerra in Libia ma su qualsiasi conflitto. Siamo andati ad indagare nelle pagine di famosi scrittori ed abbiamo sbirciato nei diari di alcuni soldati della seconda guerra mondiale. Ne abbiamo approfittato e poi chiesto ad un professore di storia militare di farci chiarezza sulla guerra in Libia. Questi scritti ne sono il risultato. D’accordo o meno su quanto riportato la guerra è sempre un qualcosa che divide…anche le opinioni. Ci rimane la convinzione che le opinioni, le idee, i pensieri, anche la loro contrapposizione, vadano scritte o lette e non impugnate a pretesto di un qualsivoglia conflitto o interesse. Non ci saranno così più pagine scritte dall’alto o dal basso.
Cristian Lamorte
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