"Modernità spesso incompresa". Intervista al critico d'arte e pittore Gillo Dorfles

il 13/06/2011 - Redazione

Può essere probabilmente annoverata tra le interviste più brevi di tutti i tempi ma per me credo sia stata una delle più emozionanti. Dopotutto avevo di fronte Gillo Dorfles, pittore, filosofo, critico d’arte, docente di estetica. 101 anni portati con eleganza e cocciutaggine “sentendoli eccome” (come mi ha confermato sbuffando). Liquidata la mia prima domanda su cosa sia l’arte con una sintetica affermazione “l’arte è arte”, Dorfles non placa la mia curiosità di sapere cosa fa sì che un’opera sia considerata arte o meno. Dovevo aspettarmelo da uno che per sua stessa ammissione è ruvido nei giudizi e anticonformista; uno dei più grandi interpreti e attori dell’arte del ‘900, attraversata dalle avanguardie storiche fino alla contemporaneità.
In ambito letterario per fortuna va meglio: un libro può o meno essere considerato un’opera d’arte? “Sicuramente un libro di letteratura, un romanzo, una poesia – sostiene Dorfles – possono essere considerati tali. Non si può dire altrettanto di un libro di critica”.
La parola passa poi agli studenti della scuola di specializzazione in Beni storico artistici dell’Università degli Studi di Siena, nell’inusuale ruolo di intervistatori. L’incontro si è così trasformato in un confronto tra generazioni, tra una personalità di primissimo piano protagonista del dibattito della cultura storico-critica dell’arte e aspiranti critici e storici dell’arte.
Tanti gli argomenti affrontati, a partire dallo stato della critica nel secondo dopoguerra. “Si viene a creare un abisso di conoscenza rispetto al passato – spiega Dorfles -; si assiste ad un capovolgimento di valori. Quadri allora considerati incomprensibili oggi sono venduti a prezzi altissimi. Andando alla Biennale, ad esempio, ci accorgiamo che non ci sono più opere pittoriche e scultoree nel senso tradizionale del termine. C’è piuttosto un nuovo modo di concepire l’arte che cinquant’anni fa sarebbe stato indecifrabile”. E tra arte e pubblico che tipo di rapporto esiste? “Un rapporto aleatorio – risponde il critico -, che dipende dall’educazione ricevuta e dalla sensibilità di ciascuno. Molta della incomprensione dell’arte contemporanea è dovuta, infatti, proprio alla mancanza di educazione. E questa deve partire dall’infanzia, quando i bambini non sono ancora dotati di paraocchi. E’ importante parlare dell’arte nelle sue forme passate, sensibilizzando però anche alla sua modernità. I bambini non possono capire l’arte se non c’entrano in contatto, liberi di provare le sensazioni più disparate senza condizionamenti”. Non manca poi un commento sul kitsch, a cui Dorfles ha pure dedicato il libro “Il kitsch. Antologia del cattivo gusto”: “E’ sempre esistito il cattivo gusto ma non lo si definiva kitsch. Prima della pubblicazione del mio libro in Italia non si sapeva cosa fosse ma lo si sapeva fare. Solo dopo si è affermato il termine kitsch e da allora buona parte dell’arte contemporanea ha cominciato a servirsene. Basti pensare alla pop art che ha utilizzato elementi kitsch (lattine di coca cola, salsa di pomodoro) per realizzare assemblaggi pittorici di prim’ordine, a dimostrazione di come l’arte figurativa non sia necessariamente antiquata”. Infine una nota polemica alla domanda su quale rapporto debba intercorrere tra arte e politica: “Al giorno d’oggi sarebbe meglio che non esistesse alcun rapporto. E’ difficile che ci sia coincidenza tra un movimento artistico-culturale e la politica”.
Del resto l’arte è arte proprio come mi aveva appena detto Gillo Dorfles e, come ha scritto Oscar Wilde, non esprime mai altro che se stessa.

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Simona Trevisi

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