Ha ancora senso leggere nel XXI secolo i classici del pensiero latino e greco? Cosa possono insegnare i miti e la letteratura di Socrate, Platone o Cicerone? Apparentemente distanti migliaia di anni da noi, sono in realtà molto prossimi in quanto trattano tematiche universali e sul senso profondo della vita. A sostenere l’attualità dei classici è una studiosa da sempre impegnata nella divulgazione del pensiero latino e greco, Eva Cantarella, docente di istituzioni di diritto romano e diritto greco antico. L’occasione è stata la sua presenza a Poggibonsi, invitata dal Comune e dall’associazione italiana di cultura classica”, dal Liceo “Volta” di Colle Val d'Elsa e dall’associazione “Il Liceone”. Il tema dell’incontro era “la paura dei padri: figure e codici della paternità nel mondo greco e romano” .
Professoressa Cantarella: perché leggere ancora oggi i classici?
“Io direi, in senso più generale, perché occuparci della storia. Perché senza la storia noi non siamo niente: senza non capiamo da dove veniamo, dove stiamo andando e neppure chi siamo veramente. Conoscere il passato è fondamentale per avere un presente ed un futuro. E i classici sono appunto uno degli strumenti che ci consente di conoscere il nostro passato. L’ideale sarebbe, ovviamente, poter leggere i classici nella loro lingua originale - il greco ed il latino - poiché ogni testo, se letto in lingua originale, ci dice molto di più rispetto alla sua stessa traduzione. Ma anche la lettura dei classici in traduzione ci consente di accedere ad un mondo dal quale altrimenti rimarremmo esclusi. Un famoso libro, intitolato “The Go-Between”, inizia con una frase che dice : "The past is a foreign country: they do things differently there", ovvero "Il passato è un paese straniero: si fanno le cose in modo diverso lì." A mio avviso questa è una frase bellissima, perché effettivamente gli uomini del passato facevano le cose in un altro modo rispetto al nostro. Leggere i classici, conoscere la storia antica, vedere i resti dell’antichità ci permette di conoscere gli altri, di prendere in considerazione “il diverso”: perché gli antichi erano “diversi” da noi. E questo confronto ci consente di ampliare la nostra visione del mondo, di uscire da quel provincialismo terribile nel quale siamo chiusi e che ci porta a credere che il nostro modo di pensare sia l’unico giusto”.
Lo storico Erodoto sostiene che ogni popolo abbia una propria idea del bene e del giusto e quindi non esista un bene assoluto valido per tutti. Secondo lei, questo relativismo culturale ci può indurre a riflettere su quel fenomeno che prende il nome di esportazione della democrazia, del quale spesso purtroppo si parla dopo l’11 settembre?
“Questo è un argomento estremamente delicato. La democrazia ovviamente è un qualcosa che non può essere esportata. Casomai può essere facilitato il processo di nascita della democrazia in un paese straniero. E per fare questo è necessario conoscere a fondo la storia e la realtà di quel popolo e di quel paese nel quale vogliamo facilitare questo processo. L’errore gravissimo è pensare di “esportare” la democrazia in un paese del quale non si conoscono i costumi, la religione, la mentalità; questa è una tragedia. E se ne sono viste anche recentemente le conseguenze”.
Per Platone la giustizia nello Stato è il riflesso della giustizia dentro l’anima. Può essere un tema per farci riflettere sulle attuali vicende di politica italiana, con annessi scandali?
“Non soltanto Platone, direi che i classici in generale ci suggeriscono che il pubblico ed il privato non sono sfere completamente separate. Per esempio, mi viene in mente la figura di Creonte nell’Antigone di Sofocle. Quando il tiranno Creonte viene a sapere che la persona che deve condannare a morte, perché colpevole di aver violato la legge (Antigone ) è sua nipote e fidanzata di suo figlio, egli dice che non può fare a meno di condannarla, poiché un buon governante è colui che applica la legge senza privilegiare nessuno. Questo ci fa capire che ci deve essere coerenza tra la vita privata e la vita pubblica. E chi non si comporta correttamente nel privato non può dare garanzie neppure nel pubblico. E questo gli antichi ce lo ripetono continuamente”.
“Purtroppo oggi la cronaca ci ha abituati a notizie macabre di omicidi consumati all’interno delle mura domestiche. È forse una dimostrazione che molti aspetti del mito greco, come la figura di Medea che uccide i figli, altro non sono che un’attenta riflessione sul genere umano?
“Certo, il mito, per come ci viene raccontato nella tragedia greca, serve proprio a mettere in scena aspetti che ci aiutano a riflettere sui problemi fondamentali della vita: è questa l’eternità del mito. Il mito aiutava a riflettere nel passato e ci aiuta a farlo ancora oggi. Nel caso di Medea troviamo la tematica del rapporto uomo-donna, ma anche il problema degli esuli. Oggi li chiameremmo migranti. Medea oggi è un migrante, è una donna che abbandona la sua patria, che non può più tornare indietro, che non ha più niente perché lontana da casa. Medea dice chiaramente alle donne di Corinto di essere diversa da loro: se esse venissero abbandonate dai loro mariti avrebbero ancora una famiglia, una città, una patria; lei invece non ha più niente e nessuno. Oggi fa impressione rileggere Medea da questo punto di vista, perché risulta estremamente attuale”.
E proprio la Medea di Euripide sarà messa in scena il prossimo 13 aprile a Siena (teatro dei Rozzi) dal laboratorio teatrale Thiasos in collaborazione con l'associazione "Il Liceone".
SOTTO TORCHIO
Libro e autore preferito?
"L’Odissea ed Omero”
L’ultimo libro letto?
“Donne del Risorgimento, AA. VV., Il Mulino 2011”
Il libro da consigliare ai lettori?
“l’Odissea”
Leggere è….?
“…bello!”
Duccio Rossi
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