Storie nella storia. Lo sport oggi sintetizza tutto questo. Non può più essere considerato come la pratica di una disciplina o una passione per il tempo libero. Lo sport è diventato un incredibile contenitore dove raccogliere aneddoti, vite, curiosità, drammi e focalizzare al tempo stesso, attraverso alcune vicende dei suoi protagonisti, momenti ed epoche storiche. Uno dei volumi più emblematici in tal senso è “Dallo scudetto ad Auschwitz” scritto nel 2007 da Matteo Marani, attuale direttore del Guerin Sportivo. Un libro in cui si racconta la vicenda di Arpad Weisz, storico allenatore ungherese del Bologna campione d’Italia, deportato e ucciso perché ebreo nel campo di concentramento insieme alla famiglia durante le persecuzioni nazifasciste.
Marani, come è cambiato lo sport negli ultimi anni? - “Lo sport soprattutto di vertice si è fatto quasi esclusivamente televisivo. Ciò ha fatto in modo che sia diventato uno show, uno spettacolo, staccandosi così in maniera definitiva dal resto dello sport, da quello di base e quello dilettantistico. C’è un gradino netto che sta dividendo sempre di più, per esempio, il calcio di Serie A e quello di Lega Pro o con gli altri sport che stanno sparendo piano piano dall’agenda. Purtroppo la tv sta dettando anche la sopravvivenza o meno dei singoli sport: le discipline che vanno sul piccolo schermo sopravvivono, le altre rimangono per una nicchia ristretta. Direi che negli ultimi anni questa forbice si è aperta notevolmente”.
Come si racconta lo sport oggi? - “C’è una grossa influenza della tv. I termini usati nella carta stampata e nei dibattiti delle persone risentono sempre delle parole e delle espressioni sentite durate una telecronaca. La cosa che a me non piace è l’eccesso, l’iperbole. Uno 0-0 tra Atalanta e Udinese diventa una partita straordinaria, un tiro da fuori area che per caso finisce in rete è “magico”, una qualsiasi giocata diventa “eccezionale”, tutto è spettacolo, tutto è “straordinario”. Il calcio, ma in generale tutti gli sport, sono già spettacoli di per sé, non hanno bisogno di tutte queste enfatizzazioni. Però evidentemente chi parla e chi racconta di sport ha un altro bisogno che è quello di vendere abbonamenti e pacchetti televisivi e quindi deve enfatizzare tutto. C’è come l’idea che ogni telecronaca debba essere “brandizzata”, cioè che la prima cosa che deve colpire lo spettatore è il riconoscere il telecronista. Inoltre, secondo me, il racconto si è impoverito dal punto di vista della ricchezza lessicale e della profondità del linguaggio. Doti che hanno reso noti grandissimi come Brera e Arpino negli anni ‘60”.
Tutto questo eccessivo pathos messo in scena da chi racconta lo sport può influire anche nel creare un eccesso di tensioni che poi trovano sfogo nelle violenze negli stadi? – “Alzare i toni e aizzare la polemica sicuramente non aiuta, ma non credo che i mezzi d’informazione riescano a incidere così tanto sui tifosi che vanno allo stadio. Quello che secondo me è peggio di tutta questa enfatizzazione eccessiva è, per così dire, il “dopare” lo spettacolo sportivo, come se ci fosse un evento importante e decisivo ogni giorno. Questo inflaziona. Ho fatto in tempo a nascere in un’epoca in cui gli eventi degni di nota potevano essere uno o due, come un’italiana che arrivava alla finale di Coppa dei Campioni o quando una squadra andava a giocare con in Real Madrid o con il Barcellona. Oggi diventa un evento Monza-Milan giocata in amichevole a luglio con il rischio di svilire e sminuire così tutto quanto. Nessuno sport al mondo può reggere una carica simile di attesa e di pressione. Evidentemente il calcio è molto forte perché riesce tutt’ora a resistere a questa eccessiva “cannibalizzazione”.
Come mai lo sport ha una dimensione così totalizzante e invadente nella vita di tutti i giorni? - “Lo sport, e in particolare il calcio, è il fenomeno popolare per eccellenza per gli italiani. Italiani che nel loro tempo libero hanno certamente nella loro mente lo sport. Lo sport diventa quindi linguaggio per tutti e di tutti. Poi si trasforma anche in metafora per il mondo della politica perché se viene detto “Autogol” o “Discesa in campo”, tutti sanno a cosa si riferisce. E’ il nostro linguaggio insomma. La stessa cosa avviene in Spagna e nei paesi latini. Diciamo che nei paesi latini, lo sport e il calcio hanno una rilevanza fortissima. Qualcuno sostiene che ci sia dietro una metafora bellica, che sia la guerra in tempo di pace. E questo lo rende il fenomeno sociale più importante di tutto il Paese, lo dicono anche i numeri economici”.
Quali caratteristiche deve avere oggi un buon giornalista sportivo? - “Intanto avere spirito critico, non deve avere la smania di sapere tutto e capire perché le cose succedono, perché succede un fatto. Nel caso del calcio, capire cosa succede sul campo, non imbevendosi solo di formule, di 4-4-2, 4-3-3. Deve avere una conoscenza più ampia rispetto a qualche generazione fa, nel senso che è richiesta conoscenza in campo economico e giuridico, un’interdisciplinarietà che qualche anno fa non serviva. Se ti occupi di calcio mercato non puoi non saper leggere il bilancio di una società. Serve la curiosità, che è il motore della vita, di voler conoscere e approfondire e poi, cosa che riscontro in molti giovani che si affacciano in questo mondo, tendono a fare il “compitino” al tavolo, vogliono fare l’ennesimo pezzo sul calciatore degli anni 80, sul “bidone”, invece credo che questo sia ancora un mestiere di fatica. Bisogna andare, cercare strade diverse, battere quella che non battono gli altri. Non accontentarsi del pezzo di maniera, che va bene per un blog ma non per un giornale”.
SOTTO TORCHIO
LIBRO E AUTORE PRFERITO - “Il giovane Holden” di Jerome David Salinger
L’ULTIMO LIBRO LETTO - “I milanesi ammazzano al sabato” di Gianni Candellari
IL LIBRO DA CONSIGLIARE AI LETTORI - “Coppi e il diavolo” di Gianni Brera
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