Dalla A di Allori alla Z di Zocchi. Ecco la prima catalogazione dettagliata di tutta la pittura nata a Firenze nel Sei e nel Settecento come non si era mai vista. Sono 340 gli artisti raccolti nei tre volumi del Catalogo dei pittori fiorentini del ’600 e del ’700, compilato per Edizioni Polistampa dallo studioso Sandro Bellesi, docente di Storia dell’arte moderna all’Accademia di Belle Arti di Bologna, e introdotto da Mina Gregori, prima artefice della riscoperta del periodo.
Firenze, crocevia di artisti anche nel '600-'700 - La scuola fiorentina, i circuiti della committenza nazionale ed estera, la vita e le opere dei maestri e dei minori del periodo più sottovalutato nell’evoluzione artistica della città gigliata tornano sotto i riflettori dopo i “secoli bui” trascorsi all’ombra del Rinascimento. “A partire dall’800 sia la critica d’arte che le istituzioni pubbliche – spiega Bellesi – hanno emarginato la produzione fra il tardo manierismo e gli inizi del neoclassicismo: la prima per spingere altre scuole con meno storia alle spalle, come la genovese o la napoletana, le seconde per cavalcare l’onda di Giotto e Michelangelo sulla spinta di un’attrattiva culturale sempre più internazionale. Ma la verità – prosegue – è che, per i contemporanei, Firenze era ancora il maggior punto di riferimento in materia, per gli italiani quanto per gli olandesi o gli inglesi. Il numero di 340 pittori attivi nel capoluogo toscano eguaglia infatti quello di Roma, già all’epoca enorme crocevia di artisti, mentre altre importanti scuole italiane, oggi famosissime proprio per quel periodo, ne contavano di fatto circa 100”.
Una monumentale opera - I tre volumi, riuniti in cofanetto (1080 pagine, 1804 tavole - 380 euro) offrono al lettore per la prima volta una catalogazione completa e metodica andando a colmare una lacuna generale nella storia dell’arte, oltre a vantare ulteriori meriti, significativi non solo per il grande pubblico ma anche e soprattutto per gli specialisti del settore, dai musei alle accademie, dagli atenei al mercato antiquario. Nutrite sono, infatti, le fila degli inediti e delle nuove attribuzioni. Inedita è l’Artemisia di Simone Pignoni della metà del ’600 che campeggia sul cofanetto, così come l’Allegoria del Tempo di Orazio Fidani datato 1651. Nuova è invece l’attribuzione di due quadri con vasi di fiori conservati nel Musées d’Art et d’Histoire di Chambéry, realizzati non da Andrea Scacciati bensì da Bartolomeo Bimbi, come attesta un inventario del 1711 della collezione Guicciardini. Altre novità stuzzicano la curiosità degli studiosi, come il recupero di un’opera di Vincenzo Dandini di cui si conosceva l’esistenza ma non l’ubicazione attuale: la Discesa dello Spirito Santo, una pala d’altare nella Chiesa di San Giorgo alla Costa, è stata rintracciata nel Convento dello Spirito Santo. Altro esempio, la tenda d’organo raffigurante Santa Cecilia e gli angeli di Francesco Soderini che si trovava nella Chiesa di San Firenze oggi è nel Convento di San Filippo Neri. Di Antonio Franchi è stata invece rintracciata in una collezione privata la prima opera giovanile, l’Allegoria della Libertà di Lucca del 1660.
Nuove attribuzioni, interpretazioni e collocazioni - L’indagine, che spazia a tutto campo tra biografie e letteratura critica, ha inoltre consentito di aggiornare le date di nascita di alcuni pittori, come quella di Bartolomeo Ligozzi, il 1624, e di rivedere i soggetti di opere note: è il caso del dipinto di Felice Ficherelli conservato alla Galleria Palatina e finora interpretato come Giuseppe venduto dai fratelli mentre in realtà è una Cattura di Sansone; e ancora alla Palatina, il Pignoni inventariato come Tarquinio e Lucrezia ma raffigurante Mausolo che abbandona Artemisia, del quale esiste un’inedita variante in collezione privata a Firenze. La vastità del repertorio preso in esame da Bellesi offre infine una panoramica su tutti i generi, dalle nature morte ai paesaggi, dai ritratti alle scene mitologiche e sacre, inclusi quelli meno noti come le quadrature e i pastelli dei quali si segnalano come esponenti principali rispettivamente Jacopo Chiavistelli e Giovanna Fratellini.
“I volumi – commenta Bellesi – permettono di togliere il velo a un’epoca ricchissima ma fino a oggi pressoché sconosciuta al grande pubblico che invece, da parte sua, dimostra di apprezzare la produzione fiorentina del Sei e Settecento, come testimonia il successo della mostra in corso agli Uffizi. La storia del primato artistico fiorentino – conclude – non termina con il Cinquecento”.
Claudia Renzi
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