“La prima notte solo con te” è il nuovo libro di Arnaldo Colasanti, in uscita a settembre per la Mondadori. Oltre ad essere conduttore del programma televisivo Raiuno Mattina Estate, Colasanti è anche scrittore, giornalista, critico letterario e docente di Poesia italiana del Novecento presso l’Università Tor Vergata di Roma. Nel suo nuovo romanzo affronta il tema dell’amore, filo conduttore che lega le tante storie che l’autore narra alla figlia in una notte immaginaria. Nel libro sorprendono immediatezza e generosità, che regalano al lettore uno spiraglio di visioni e tracce stupefacenti. “Fu un manto d’inverno anche se bolliva sulla pelle, scese in mezzo a loro, li prese tutti, non si fece aspettare. Al primo calcio il boato si mescolò alle grida dei giochi e alle urla del dolore, alla paura che non dribblava più ma li zittì increduli. (…) lì non ci sarebbe dovuto essere nessuno, nemmeno un bambino di quei dodici uccisi, avrebbe dovuto toccare quel fiore velenoso.”
Come nasce l’idea di una raccolta di storie?
“Questo romanzo racconta cosa ha fatto, visto, studiato, vissuto, un uomo come me di cinquant’anni, attraverso le cose che amo, alcuni pittori, alcuni libri, alcune vicissitudini vissute insieme a mia figlia in casa e alcune storie che mi sono capitate. Nella lunga notte del libro, ripercorro la mia vita e la ripenso attraverso quadri, libri e musiche, con l’intento di spiegare a Miranda, mia figlia, che la vita ha senso. Il libro è un mio tentativo di poter promuovere e proporre un idea di esistenza e di vita totalmente sensata, non utilistica, non pessimista”.
I suoi libri hanno un filo conduttore, la memoria, perché?
Anche in questo libro scrivo con una forte idea della memoria, perché la scrittura è rammemorazione di qualcosa che è imperfetto. L’imperfezione della memoria non è nel non ricordarsi tutto, ma nel fatto che ci ricordiamo tante cose che non pensavamo di aver vissuto. La perfezione è un pensiero di razionalità, a differenza dell’imperfezione che è un principio di emozione. La parte migliore degli esseri umani sono proprio i limiti, i difetti, i tic, le balbuzie, è straordinario come Cioran diceva che “in fondo la natura ci ha regalato gli errori e la malattia per farci conservare un po’ della nostra solitudine”. La memoria è solitudine e la scrittura è una forma di solitudine. In questo senso la solitudine diventa un luogo dove ti raccogli e ritrovi te stesso e le cose che contano nella vita, l’amore, la sincerità, l’intelligenza, la profondità, la carità e la misericordia”.
Da anni lavora in televisione, è un media da disprezzare e denigrare?
“La televisione che certamente da soldi, narcisismo, fama, è però affascinante nella capacità di renderti intimo agli altri. Da una parte c’è il rischio del feticismo, la “cattiva maestra” secondo Popper. Dall’altra parte, con la televisione in day time, puoi garantire alle persone anziane, alle persone semplici, o a manager che al mattino si svegliano e ti guardano, un fatto: stai li e sei contento di parlare a qualcuno”.
La televisione attira infinite critiche da molti intellettuali, come le interpreta?
“Quello che non ho mai tollerato degli altri intellettuali che frequentano la televisione, è il disprezzo o il moralismo che mostrano. Se provi a parlare alle persone sapendo che è un caso, ma in fondo in fondo, un caso motivato, scopri che c’è qualcosa per cui un uomo parla a tutti e tutte le persone in casa si ritrovano in un timbro, in un tono di voce.
Elisa Manieri
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