La sagra secondo Federico Tozzi. Il racconto tratto da "Il podere"

il 19/09/2011 - Redazione

Il primo lunedì del mese a Siena fanno la fiera del bestiame fuor di Porta Camollia.....Il prato a sterro, dinanzi alle prime case del Borgo, era pieno fino in fondo : i bovi e i vitelli pigliavano tutto il mezzo ; i cavalli e gli asini erano legati alla fila degli alberi, da una parte, i maiali grufolavano lungo il muro del Toro a Segno. I contadini e i mercanti entravano tra i mucchi di bovi ; mentre altri, a capannelli, dove c’era più posto vuoto, stavano fermi ; discutendo e contrattando per ore e ore di seguito.....Altre voci gridavano tutte insieme, bestemmie e insolenze ; e nessuno intendeva più niente. Ma chi menava le bestie si faceva largo come poteva; finché non era fuori della fiera ; e, a non sentirsi più pigiato, respirava a bocca larga....”C’erano bovi montigiani, di pelame candido e liscio, con gli occhi turchini e pelosi ; le corna piccole; alti e lunghi. C’erano quelli maremmani, di pelame scuro e anche tutto nero ; con le corna grosse e grandi. Parecchi avevano un campano attaccato al collo ; con una fibbia di cuoio.
Tutta la fiera faceva un ronzio sempre eguale, che opprimeva, un ronzio fitto come la polvere sospesa nell’aria, come fosse immobile. La fila degli alberi era piena di cicale che non si stancavano mai.......Su la stesa delle groppe si levavano le corna. Le mosche coprivano il collo e la giogaia dei bovi, mettendosi fitte fitte attorno all’orlo degli occhi ; attaccandosi, ostinate, con le ali lustre e iridescenti. Quando una volava via, restava una goccia di sangue, come una punta di ago, sul pelo......Qualche volta, quando un compratore si portava via un maiale dal branco, legandolo per una delle zampe di dietro, le strida si sentivano per tutta la fiera ; e in quel punto si alzava un polveroni che accecava.

Tutte quelle corna e quelle groppe, brulicavano. Sui carri le donne tenevano le funicelle delle bestie avvoltolate ai polsi, con le fruste in mano, sotto grandi ombrelle d’incerata verde. Poi, quando i loro uomini tornavano d’aver visto la fiera e dì aver parlato con i conoscenti, si mettevano a mangiare.
All’entrata del prato, alcune baracche vendevano coltelli, falci, pietre potatoie, forbici da potare, barili nuovi. Un uomo, ventruto, si scalmanava, battendo la mano aperta, su le stoffe che egli teneva con il pugno dell’altra mano, sopra alla testa. Un cantastorie, aiutato dalla moglie, stonava e storceva la bocca per far ridere: accompagnandosi con una enorme chitarra unta. Era malo e grigio ; e corrugando la fronte, faceva andare avanti e indietro il cappello a staio. La donna, più piccola di lui, rossa in viso, aveva i capelli d’un biondo bianchiccio, tenuti fermi con una sola forcella di ottone che faceva gola a tutte le contadine. Quando doveva alzare la voce, per non fare stecca, spingeva innanzi il buzzo e piegava un ginocchio. Ed ambedue, cantando, guardavano con gli occhi fissi di là dalla gente, come fuori di sé e assorti. Le ragazze, tenendosi i gomiti su le spalle l’una dell’altra, con tutto il peso del loro corpo, ascoltavano ridacchiando, pigiate in mezzo ai giovanotti; senza impermalirsi di certe parole che andavano a dirle loro dentro gli orecchi. Quando uno aveva indolenzite le spalle dal braccio di un’ altra, le smoveva perché le cambiasse posto. Erano vestite a festa, e ci stavano così volentieri che quelli della loro famiglia dovevano tirarle via per le braccia.
Lì accanto, un giovane, con i baffi biondi e le basette lunghe vendeva le aringhe di un barilotto da dove le prendeva con la punta di uno stecco.
Da Siena venivano le frotte dei contadini che erano stati a mangiare nelle bettole, urtandosi, gridando o burlando qualcuno che aveva bevuto troppo e barcollava : Alcuni s’erano fatti accompagnare, per la prima volta a trovare le ragazze ; in un vicolo immondo come un moscaio.

Federico Tozzi, Il Podere, Milano 1983, p.158 –162

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