Ci sono eventi che spesso capitano una sola volta nella vita. Questa è la prima cosa che passa nella mente di fronte al “Confidenziale” di Federico Fiumani, voce e chitarra dei Diaframma da una vita, solista in questi casi. Uno spettacolo in cui sul palco ci sono solo lui e la sua Fender, davanti a una platea molto ristretta. Quello che ne esce fuori è qualcosa di più unico che raro, in cui le barriere tra musicista e pubblico sono quasi del tutto abbattute. È quello che è successo a Siena, quando la rassegna Indipendente è riuscito a portare un pezzo di storia della musica underground italiana davanti a pochi fortunati. Ne è uscito un live fulminante nella sua intensità, con l’aggiunta dei siparietti per cui Fiumani è sempre stato conosciuto, ma è stata anche l’occasione per parlare con chi la musica italiana l’ha attraversata nella sua interezza.
Prima di tutto come nasce Il Confidenziale di Fiumani?
«Se volevo suonare in piccoli locali, magari anche ristoranti, era la mia unica possibilità. È un modo per portare la mia musica dovunque».
Sei passato da cardine della scena new wave italiana degli anni Ottanta ad autore di culto dell’underground, nel mezzo cosa c’è stato?
«È stata una lunga storia di dischi e concerti, questi trent’anni sono stati completamente animati dalle esibizioni live e dagli album. Il pubblico che mi ha seguito nel mio percorso sono riuscito a conquistarlo proprio dal vivo e questo crea un legame speciale. Ho attraversato tre decadi della musica italiana, se prima nei Diaframma cantava un altro dall’89 sono diventato anche la voce del gruppo oltre a suonare la chitarra. Poi ho vissuto il riflusso della new wave negli anni novanta e in generale di tutta la musica italiana, fino alla riscoperta della canzone d’autore nei primi anni 2000. Sono stato uno dei primi a intraprendere questa via e il pubblico me lo ha riconosciuto».
Nel tuo ultimo album affermi “Questo gruppo è tutto quello che ho”, cosa sono per te i Diaframma?
«I Diaframma sono la mia ragione di vita, l’unica oserei dire, che nel tempo è diventata anche il mio lavoro».
La scena musicale italiana sembra non riuscire mai a innovarsi veramente, voi invece avevate intrapreso una strada diversa negli anni Ottanta, è così difficile?
«Per certi versi si perché i Diaframma sono stati un unicum nella musica rock italiana, ora è diventata una tendenza abbastanza diffusa e consolidata fare rock cantando in italiano, ma quando abbiamo iniziato noi non era affatto così. Da questo punto di vista ha avuto molta influenza il ritorno della musica cantautoriale, penso a musicisti come Dente o come Le Luci della Centrale Elettrica».
Il vostro pubblico è di nicchia ma incredibilmente fedele, cosa crea questo legame tra i Diaframma e i suoi ascoltatori?
«È vero, abbiamo un pubblico incredibile anche se non molto ampio. Credo che molto passi attraverso i concerti, perché come dicevo prima è dal vivo che siamo riusciti a conquistare chi ci segue. Questo tipo di rapporto non è effimero come la tendenza del momento, crea un vero legame tra musicista e spettatore, soprattutto duraturo».
La tua musica non è mai pretenziosa, anzi è semplice e diretta, anche in questo rappresenti un unicum in Italia.
«Lo devo alle mie radici punk, ma in un certo senso è come dovrebbe essere fatta l’autentica musica cantautoriale. Cerco di puntare al cuore dell’ascoltatore, diciamo che la mia è una via di mezzo tra punk e canzone d’autore».
Francesco Anichini
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