Applausi scroscianti per la Medea di Euripide, andata in scena mercoledì 13 aprile sul palcoscenico del Teatro dei Rozzi, a cura del Laboratorio Teatrale Thiasos. Scenografie e costumi senza tempo, come senza tempo è la storia raccontata da Euripide. Raffinate simbologie teatrali: il tappeto di lana bianca, perennemente in scena, a ricordare il fatidico Vello d’Oro, origine delle sventure raccontate; i giochi dei bambini in luogo dei bambini stessi, ai quali i protagonisti si rivolgono come se fossero dei personaggi reali. E sul finale, il lungo lenzuolo rosso trascinato dalla mano omicida di Medea a rappresentare l’uccisione dei figli, l’infanticidio, la scia di sangue altrimenti non riproducibile: oltre a dotta citazione del tappeto rosso, presagio di sangue e morte, sul quale cammina Agamennone in un’altra grande tragedia greca.
Gli attori - Superba interpretazione di Medea da parte della giovane Cristina Castellini che ha dato prova di ferrea memoria e grandi capacità recitative, riuscendo a rendere efficacemente l’animo conflittuale della protagonista, passando repentinamente – e magistralmente – da uno stato d’animo all’altro, dalla furia alla disperazione. Grandi doti recitative anche da parte di tutta la compagnia teatrale: Chiara Carnemolla nel ruolo della Nutrice, Emanuele Glave nella parte di Creonte, Martino Montomoli nelle vesti di Giasone, Sandra Bardotti e Sara Marzullo a rappresentare il Coro; e Filippo Bassetti, nelle vesti del Maestro dei figli di Medea, che riesce a catturare il pubblico con il suo monologo sulla morte di Glauce: una terrificante descrizione, in un climax ascendente degno di nota, delle pene fisiche patite in punto di morte dalla giovane figlia del re.
Medea - E sul finale il trionfo della folle Medea: con le mani insanguinate la madre infanticida si dondola grottescamente su un’altalena, simbolo dello spensierato gioco infantile; luci stroboscopiche e musica tecno, dal forte impatto visivo ed acustico, traducono perfettamente il delirio di morte che trionfa nel cuore di Medea e che fa sprofondare il padre Giasone nell’abisso del dolore. Ultima musica dello spettacolo, quasi ad accompagnare la chiusura del sipario, “Non sono una signora” di Loredana Bertè: una canzone del nostro tempo che distende gli animi del pubblico dopo tanto pathos, ma che, nello stesso tempo, si incastra perfettamente nella tematica dello spettacolo. “Crocifissi al muro” canta la Bertè nella sua canzone e Cristina Castellini assume appunto la posa di una donna crocifissa, crocifissa dal dolore come Medea, e recante una maschera bianca, anonima, senza identità, proprio a simboleggiare il valore universale del messaggio euripideo: Medea non ha volto perché assume tutti i volti delle donne che essa rappresenta. Medea non è solamente un donna sfortunata della Colchide ma è il simbolo universale di problematiche e conflitti psicologici che caratterizzeranno l’essere umano finché esso sarà tale.
Duccio Rossi
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