"La maschera ci aiuta a scoprire chi siamo". Parla Duccio Barlucchi, regista del Teatro d'Almaviva

il 07/02/2011 - Redazione

Il carnevale non è solo coriandoli e feste. È la celebrazione delle maschere, cioè di quei caratteri che personalizzano e denotano doti psicofisiche rivelatrici e caratterizzanti. Le maschere sono oggetti misteriosi che celano un fascino del tutto particolare, che sta nella tensione di potersi rivelare nascondendo però il proprio volto. Ci sono stati illustri personaggi che si sono dedicati allo studio e all’analisi introspettiva delle maschere. Una storia strettamente legata ai teatri e che lì ha trovato persone che tutt’oggi portano avanti quest’importante significatività. È il caso di Duccio Barlucchi, regista del Teatro d’Almaviva. Con lui è partita la nostra riflessione che ci ha portato a spaziare dal teatro greco, passando per Goldoni e arrivando a Pirandello, senza dimenticarsi del carnevale.

Come mai le maschere e il celarsi dietro di esse ha sempre affascinato la letteratura? - “La maschera è nata nella notte dei tempi ed ai quattro angoli del mondo come necessità dell’uomo di rappresentare l’irrappresentabile, di superare la propria umanità per stabilire un contatto con l’Oltre. La maschera fu lo “Strumento”, l’oggetto magico in grado di far divenire “altro da sé” chi la indossa. E questo è anche il compito dell’attore, a cui la maschera teatrale, sempre sul filo rosso di una “trasformazione magica”, permette di incarnare il Mito, l’Eroe e il Simbolo, come nel teatro greco, o l’archetipo di un personaggio, come per Arlecchino e soci nella Commedia dell’Arte, che è stata una delle più dirompenti novità del teatro dal 1500 ad oggi. Goldoni in realtà ne raccolse le ultime scintille, privandola peraltro della sua caratteristica essenziale, l’improvvisazione (che è frutto di molto studio e lavoro creativo da parte dei comici), per dare anche alle maschere la stessa dignità del testo “premeditato” come agli altri attori. Nel carnevale, festa della carne e della licenza, coprire il volto permette di esprimersi senza il freno della propria identità e riconoscibilità sociale. Ed anche se i moderni carnevali sono solo un pallido ricordo dei grandi carnasciali del passato, l’effetto maschera continua ad essere sentito. La letteratura, il teatro, la danza, l’opera non possono essere insensibili a tanto “potere””.

Quanto è difficile per un attore teatrale immedesimarsi con la sua maschera? E come riesce a farlo? - “Il lavoro dell’attore con la maschera è tecnicamente difficile, ed artisticamente impegnativo. La maschera coprendo il volto esalta il corpo, quindi la comunicazione emotiva attraverso il gesto ed il movimento. Ciò richiede all’attore, abituato a contare molto sull’espressività facciale, una preparazione ed una consapevolezza particolari. La maschera “comanda”, impone al corpo di conformarsi al suo carattere. Un modo di muoversi inadatto all’espressione della maschera annulla la fusione volto-corpo, i due elementi restano staccati, e la trasformazione magica non si compie”.

È possibile pensare che indossando una maschera si scopra veramente chi siamo? - “Credo che molti abbiano scoperto qualcosa. Non foss’altro che il brivido di esser sé ma non nell’identità nota agli altri. Un sé privato, nascosto, più libero di sentirsi e di manifestarsi. È qui che possono emergere aspetti che l’educazione, la cultura e le norme sociali tengono a freno, una voglia di libertà che i nostri volti che dicono a tutti chi siamo non ci possono permettere. È un deresponsabilizzarsi socialmente per responsabilizzarsi interiormente, se si trova il coraggio di accettare la sfida. In questo senso, la maschera può essere catartica, in scena, nel rito, nella festa”.

Generalmente si pensa che una maschera serva per nascondersi mentre in realtà è sempre servita per rivelarsi, sul palco come nelle pagine di un libro. Come si risolve questa apparente contraddizione? - “Indossare una maschera è un atto di trasformazione, sempre, ma non per coprire, anzi svelare ciò che il volto nudo non potrebbe esprimere. Quest’accezione implica però una consapevolezza in chi la indossa. Le maschere rituali non s’indossano alla leggera, perché aprono una porta con l’Oltre, e chi varca quella soglia deve essere preparato. Non a caso la maschera nelle società tradizionali è essenziale anche in ambiti socio-spirituali. Le maschere teatrali non vanno sottovalutate ed una delle prime cose che raccomando agli allievi attori è avere rispetto sia per l’oggetto maschera, di solito bella espressione di perizia artigianale, sia per lo strumento, capace di stimolare interessanti percorsi di ricerca espressiva. La perdita di una cultura di “trasformazione” rituale ha portato specialmente in occidente ad una superficialità che riduce spesso la maschera ad un ornamento, mentre la maschera sollecita soprattutto l’essere. Ma questo è un discorso ben ampio e complicato che riguarda svariati aspetti della cultura contemporanea”.


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Andrea Frullanti

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