Il tempo di uno squillo ed eccomi in linea con lui, simpatico, disponibile, gentile come solo i veri professori, quelli che ti ricorderai per tutta la vita, sanno essere: sto parlando con Francesco Ricci, docente di Letteratura italiana e latina al Liceo classico “E.S. Piccolomini” di Siena, ma soprattutto autore del volume “Prossimi e distanti” (Primamedia Editore, 2019), un saggio sui misteri che avvolgono l’adolescenza, età che, se anche prima nascondeva i suoi lati oscuri, oggi sembra ancor più incomprensibile. Come insegnante, Francesco convive giornalmente con le difficoltà che i suoi allievi affrontano nel difficile periodo in cui si viene inconsapevolmente traghettati verso l’età adulta. Questa sua esperienza, unitamente alla sua approfondita conoscenza del Pensiero umano, lo ha condotto a scrivere un volume che indaga gli adolescenti di oggi da ogni punto di vista: quello di genitore, di insegnante, di studioso, di umanista, per aiutare quanti lo desiderino a cercare di capire i propri figli e a darsi risposte, piuttosto che restare a contemplare le proprie domande, sordi ai problemi e sicuri di essere nel giusto. Ho posto a Francesco Ricci qualche domanda per saperne di più sul mondo fantastico degli adolescenti, gli adulti di domani:
Francesco, perché hai deciso di scrivere un libro sugli adolescenti?
Nel luglio del 2017 ho pubblicato “La bella giovinezza. Sillabari per millennials” (primamedia editore), un libro che è stato accolto con estremo favore dalla critica e dal pubblico, al punto che nel 2018 è uscita la seconda edizione, riveduta e ampliata. Le numerose presentazioni del saggio sono state altrettante occasioni di confronto con i lettori ed è stato proprio tale confronto a indurmi ad approfondire alcuni aspetti legati al mondo adolescenziale, tra i quali il rapporto che i nostri giovani intrattengono con la politica, con la religione, con la famiglia, l’incidenza che hanno su di loro le nuove tecnologie digitali e il branco, cosa si attendono dalla scuola, con quali occhi guardano al futuro. È così che è nato “Prossimi e distanti. Gli adolescenti del terzo millennio” (primamedia editore).
Mi ha colpito molto notare che ognuno dei dieci capitoli del tuo volume trova il suo incipit in un passo tratto dal romanzo di un autore italiano o straniero (Alberto Moravia, André Gide, Antonio Tabucchi, Benedict Wells, Cesare Pavese, Francesco Piccolo, Giorgio Bassani, Luigi Meneghello, Niccolò Ammaniti, Pier Paolo Pasolini). Perché questa scelta?
Ho collocato in apertura di capitolo un brano d’autore per due ragioni. La prima è che ho inteso offrire una rappresentazione della condizione adolescenziale negli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta del secolo scorso, in modo da permettere al lettore di istituire un confronto con quella che è, invece, la maniera odierna di essere giovani. La seconda è che reputo la lettura come uno dei pochi strumenti di cui disponiamo per relativizzare i danni provocati dall’essere i nostri ragazzi perennemente connessi, oltre che immersi in un contesto che celebra come valori la velocità, il successo, l’apparire, il movimento, la soppressione di regole e di legami. Incontrare una pagina di Pavese, di Meneghello, di Pasolini, di Tabucchi – ho pensato – magari può tradursi in un invito alla lettura della loro opera.
È proprio vero, come dicono alcuni, che gli adolescenti non hanno ideali in cui credere? Era davvero necessario che ci fosse Greta Thunberg a risvegliare la loro coscienza addormentata?
È difficile per i più giovani possedere degli ideali quando né i genitori né gli insegnanti li possiedono più. La verità è che noi, che siamo passati attraverso l’individualismo edonistico degli anni Ottanta e siamo poi approdati alla globalizzazione – vale a dire l’unità economica e tecnologica del mondo –, siamo diventati tutti più cinici, più disincantati, più rassegnati. Né le cose vanno meglio se i ragazzi gettano uno sguardo, e lo gettano spesso, a quella che è divenuta per loro la nuova agenzia formativa, la Rete, dove in continuazione gli vengono proposti dei modelli di comportamento caratterizzati da uno stile di vita egocentrico, individualistico, che rinviene i propri obiettivi nel denaro, nel potere, nel successo. E poiché si cresce per processi imitativi, gli adolescenti o emulano l’apatia rassegnata degli adulti, ormai incapaci di progetti e di entusiasmi, oppure conformano la propria condotta a quella di uno Youtuber o di un influencer.
Alle pagine 103-104 del tuo volume si legge: “La verità è che la società italiana è rimasta una società profondamente ingiusta e che la scuola non è riuscita a limitare l’incidenza delle condizioni economiche dei genitori sul destino scolastico dei figli.”. Da quali considerazioni scaturisce questo tuo pensiero?
Sono contento, Serena, che tu abbia messo in rilievo proprio queste righe di “Prossimi e distanti”. La mia è una constatazione amara, ne sono consapevole. Ma è quanto mi sento di affermare dopo quasi trent’anni di docenza. Oltretutto, io provengo da una famiglia di insegnanti; insomma, la scuola (opportunità, aspettative, finalità) la conoscevo, in un certo senso, ancor prima di diventare professore. Quello che ho constatato è che il retroterra familiare continua a pesare tantissimo. Più scuola forse ha comportato più democrazia, di certo non più uguaglianza. Un tempo decisivo era il background culturale, oggi quello economico. Anche tra chi oggi ha trenta, trentacinque anni – la generazione più sfortunata, travolta dalla grande crisi finanziaria del 2007-2008 – chi è che è riuscito ad arrivare, a non avere una semplice occupazione di ripiego o un lavoro precario? Unicamente chi poteva contare, già negli anni della scuola secondaria superiore, su un’educazione parallela rispetto a quella fornita dallo Stato, fatta di lezioni e approfondimenti privati, e chi si è trovato a subentrare al padre in un’attività avviata e che è passata indenne attraverso la grande crisi.
Il gruppo è fondamentale per ogni adolescente, ma talora, come ben specifichi nel tuo volume, il gruppo diventa “branco”: perché gli adolescenti, apparentemente sempre così coesi tra loro, si trovano spesso risucchiati in spirali di odio, dividendosi in carnefici e vittime?
Il bullismo è sempre esistito. L’uomo è anche distruzione e autodistruzione. Però c’è qualcosa di nuovo nel bullismo del terzo millennio. Il suo spazio non è più la strada, il pullman che conduce a scuola, lo spogliatoio della palestra. Il bullismo ora va in scena anche sulla Rete, e a venire coinvolti sono, in egual numero, maschi e femmine. Con un sms, entrando in un forum online, lasciando un commento su un social network, rubando il profilo di altri, postando video e immagini intime, è ormai possibile offendere, denigrare, molestare, suscitare imbarazzo, intimorire. Ogni rifugio appare precario, ogni difesa sembra debole, perché la Rete non chiude mai, è aperta sette giorni su sette, ventiquattro ore su ventiquattro. Non c’è interruzione, non c’è riparo contro questa moderna forma di violenza.
Questo periodo di isolamento forzato può tramutarsi in una situazione esplosiva per famiglie con figli in pieno conflitto generazionale: come pensi che sarebbe opportuno gestire degli adolescenti in difficoltà e in crisi di solitudine, lontani dagli amici e estraniati dalla vita di sempre?
Come genitore credo che questo drammatico periodo che stiamo vivendo possa, sul piano dei rapporti intergenerazionali all’interno della famiglia, avere anche risvolti positivi. A patto, però, che venga vissuto non come una forzata convivenza sotto lo stesso tetto, bensì come un’autentica condivisione di spazi e di tempo. Recuperare il dialogo, mettere da parte smartphone e cellulari, almeno a pranzo e a cena, commentare insieme le notizie dei telegiornali, non avere paura di sottolineare la fragilità e la vulnerabilità della creatura umana, insegnare che non ci si salva mai da soli, che certe presenze che diamo per scontate, ad esempio i nonni, scontate non lo sono affatto e che, di conseguenza, le parole e i gesti che oggi non gli abbiamo donato, per distrazione, leggerezza, incoscienza, non è detto che potremo regalarglieli domani.
Il volume di Francesco Ricci è a mio avviso un valido aiuto per comprendere gli adolescenti indubbiamente, ma un modo per riflettere su noi stessi e su come esercitiamo il ruolo di genitori, insegnanti, giornalisti e adulti del mondo attuale: i ragazzi che educhiamo saranno domani il riflesso del nostro sistema di valori e del nostro spessore umano di oggi.
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