“La legge non tutela le vittime di femminicidio”. Parla lo psicologo Luciano Di Gregorio

il 17/02/2014 - Redazione

Uomini che maltrattano le donne, che le odiano a tal punto da ammazzarle. Per un rifiuto, per la fine di una relazione, per figli contesi. Storie diventate quasi quotidiane che colpiscono l’opinione pubblica per la violenza e la crudeltà. O che semplicemente restano sussurrate nelle stanze dei centri antiviolenza dalle donne che trovano la forza per denunciare. Alle loro storie e ai sentimenti che agitano i loro carnefici, lo psicologo Luciano Di Gregorio ha dedicato un libro dal titolo “L’ho uccisa io. Psicologia della violenza maschile e analisi del femminicidio” (primamedia editore), volume unico nel suo genere perché per la prima volta analizza le motivazioni psicologiche che animano gli uomini violenti.

Quali sono i profili psicologici degli uomini che maltrattano e uccidono le donne?
«Ho indicato come soggetto tipo gli uomini tuttora ancorati alla matrice culturale maschilista, che pretendono di dominare il rapporto con una donna sottomessa al dominio del maschio, su questa matrice di base culturale si innesta una personalità di tipo "narcisista" nel senso di un soggetto che non ha messo in discussione un'immagine di sé grandiosa, il maschio adulto violento è come il bambino dell'infanzia che si crede padrone del mondo. Ovviamente c'è un riferimento alla famiglia d'origine che ha confermato questa immagine grandiosa del figlio, ha sostenuto una cultura della disuguaglianza di genere, e non ha favorito una separazione dagli antichi investimenti d'amore sui genitori, per cui nella relazione di coppia il maschio adulto pretende che la donna si conformi alle sue aspettative, cerca di trovare una conferma della identicità della relazione di coppia con le relazioni famigliari di provenienza, e pretende una forma di sudditanza della compagna nei suoi confronti, come è avvenuto nella famiglia d'origine o nel rapporto tra i genitori».
Secondo la sua esperienza da psicologo esiste una cura o una terapia per far guarire il maschio violento?
«Non si può parlare di cura se ci si riferisce ai condizionamenti culturali di cui è portatore il maschio violento, se mai va indicata una forma di psicoeducazione al rispetto e all'uguaglianza tra gli esseri umani, che nel caso dell'adulto può essere realizzata in un contesto sociale dedicato al trattamento degli uomini violenti, mentre nelle scuole si opera per educare i più giovani alla consapevolezza del pregiudizio culturale che vede la donna come inferiore e come figura sostanzialmente svalutata, debole e perdente nella società. Oppure come un oggetto sessuale di cui poter abusare. Diversamente, con soggetti che hanno già praticato una forma di violenza più o meno reiterata nei confronti della compagna, e che sono stati già segnalati come violenti dalle istituzioni, si cerca di intervenire facendo un lavoro psicologico sia individuale che di gruppo per favorire processi di mentalizzazione, cioè si cerca di favorire la capacità di rappresentare interiormente gli affetti e le emozioni legati alle esperienze di rapporto con la donna che mette in discussione il dominio dell'uomo e che, per questo motivo, viene attaccata, si lavora in modo tale da sostituire all'azione violenta la parola e la capacità riflessiva».
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un aumento dei casi di violenze o è aumentata l’attenzione mediatica su casi che esistevano anche prima?
«Sono aumentati anche se di poco gli omicidi di donne da parte di ex mariti, conviventi e amanti (128 nel 2013). La violenza complessiva, sia fisica che psicologica, non è ancora stata monitorata a livello nazionale, è vero però che se ne parla molto di più e che ci sono molte più donne che oggi hanno il coraggio di denunciare il loro compagno che usa violenza e che, ora, per legge può esser perseguito. Quindi il fenomeno sembra che esista di più ma forse è uguale a quello che esisteva già da tempo, siamo certi solo dell'aumento dei femmicidi (intesi come omicidi di genere) e non dell'incremento delle violenze domestiche in generale».
Potenzialmente ogni uomo può essere violento?
«No, non credo, dipende sia da fattori psicologici individuali e sia dalla sua storia personale/famigliare del maschio, oltre che dalla crescita emotiva e dalla coscienza morale interiorizzata, e infine anche dalla capacità personale di operare una distinzione da una cultura della violenza e della disuguaglianza di genere, che è ancora dominante nella nostra società».
Cosa scatena tanta rabbia e tanto odio da portare, in casi estremi, all’omicidio?
«Quello che scatena l'intenzionalità omicida è la scoperta della donna persona, della donna come soggetto che esiste nella realtà indipendentemente dal possesso dell'uomo, che lo mette in una condizione di perdita di controllo del mondo esterno e della realtà, lo costringe a confrontarsi con il sentimento della mancanza, della perdita di una parte di sé che era indispensabile al completamento di sé l'idea che fa soffrire l'uomo è di non poter più possedere la donna come oggetto soggettivo, di non poter più rimediare a questa perdita, perché ciò che viene riconosciuto esistere nella sua indipendenza e autonomia non è più padroneggiabile, e questo a volte è vissuto come una realtà angosciante e annicchilente per un uomo, che ha creduto per tanto tempo di essere padrone del mondo e della donna in particolare».
Nella sua carriera c’è stata una storia di violenza che l’ha colpita più di tutte?
«Le storie di violenza che mi colpiscono più di tutte sono quelle in apparenza più banali, invisibili dall'esterno, perché sono fatte di comportamenti, di azioni subdole e di comunicazioni manipolatorie, quelle che si nascondono dietro le premure di un uomo per la moglie, di apparente disponibilità per la compagna, ma che, in realtà, nascondono al loro interno il bisogno dell'uomo di dominare l'altro e di non favorire mai una sua reale emancipazione, non si vuole mai che la donna si realizzi nella vita, e non si stai mai veramente dalla parte della sua affermazione personale. La donna, tutto sommato, è ancora considerata come qualcosa da usare per confermare il proprio potere e dominio su di lei, e si agisce in modo tale che lei non se ne accorga. Questa è una violenza ancora peggiore di quella agita e brutale, che si vede perché è fatta di lividi e di ferite sul volto, quest'altra non si vede perché è psicologica, affettiva, ma essa è parimente distruttiva quanto l'annientamento fisico della donna persona».
Cosa spinge un uomo violento a rivolgersi a uno psicologo?
»Ora che esiste la legge 119, c'è l'obbligo per chi ha commesso il reato, per chi è diffidato da frequentare la casa della compagna abusata, o per chi ha scontato una pena, di rivolgersi a strutture territoriali per essere seguito, ma credo che la spinta maggiore a chiedere aiuto provenga dalla compagna dell'uomo violento, che chiede al suo uomo di farsi curare se vuole salvare il rapporto; sono questi i casi, a mio modo di vedere, da cui si può ricavare veramente qualcosa di buono».
La violenza esiste solo all’interno delle relazioni sentimentali e affettive o anche in quelle che non prevedono un legame come, ad esempio, i rapporti di lavoro?
«La violenza di genere è presente anche sui luoghi di lavoro, dove le donne sono ricattate da loro padrone o dal titolare di una azienda, che per mantenere il posto chiedono alla donna di offrire prestazioni sessuali, ne hanno parlato più volte anche i media».
La legge italiana tutela adeguatamente le donne?
«No, è assolutamente insufficiente, serve come piano di emergenza e come deterrente per ridimensionare il fenomeno, ma la donna che denuncia non è ancora adeguatamente tutelata, anzi spesso dopo che ha denunciato il compagno, e che lui ha subito una sanzione, si trova maggiormente esposta al rischio violenza, ci vogliono più stanziamenti e più risorse, più case rifugio e una rete di servizi territoriali, bisogna fare prevenzione anche lavorando sugli uomini violenti e questo la legge non lo dice chiaramente».
Ha scritto un libro sui profili psicologici degli uomini che maltrattano le donne. Esistono casi al contrario?
«Qualche caso c'è e anche i giornali ne hanno parlato, ma sono un fenomeno irrilevante e poi questi episodi di violenza quasi mai portano all'eliminazione del compagno. Oggi le donne, le ragazze, se mai sono più coinvolte in fenomeni di bullismo, o di cyber bullismo, al pari dei ragazzi maschi. E' la cultura della violenza che si espande a livello sociale».

Susanna Danisi

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