“La critica musicale”, scritto da Federico Capitoni (Carocci, 2015), è un libro necessario. Innanzitutto perché colma un vuoto: come esordisce l’autore nell’introduzione, «In Italia non esiste un libro sulla critica musicale. Vi sono collezioni di saggi sul rapporto tra musica e parole, raccolte di atti di convegni sul giornalismo musicale, e ovviamente libri di critica musicale, ma nessun testo organico e peculiare sulla disciplina. Questo la dice lunga su quanto la critica musicale goda di considerazione, soprattutto negli ultimi tempi, in cui ci saluta mesta come un animale in via di estinzione del quale nessuno sembra sentire la mancanza». Federico Capitoni – che scrive per “la Repubblica”, “Il Sole 24 Ore” e per le maggiori testate musicali italiane, oltre ad essere autore e conduttore di varie emittenti tra cui Radio Rai – con questo agile volume dimostra il contrario: la critica musicale non sta scomparendo, piuttosto si sta riposizionando, scontrandosi con quel pluralismo di opinioni che arrivano dal web ma che solo di rado possiedono l’autorevolezza del critico. Un altro motivo per cui Capitoni ha deciso di scrivere il libro è quello di portare più persone possibile a conoscenza della materia. Il volume non soltanto spiega cos’è e a cosa serve la critica musicale, ma cerca anche di descrivere il problematico scenario attuale e ipotizzare sviluppi futuri. Dimostrando, come si è detto, che la critica musicale (del resto come le altre, da quella letteraria a quelle d’arte e cinematografica) non sta affatto morendo.
Capitoni delinea molto bene la storia giovane della critica musicale, partendo dai primi e illustri recensori dell’Ottocento (Berlioz, Schumann) per arrivare all’oggi e al grande problema di oggi: la presenza simultanea, vicina al critico musicale professionista, di quella occasionale dell’appassionato, di quella a volte feroce dell’opinionista fai da te, di quella estemporanea eppure spesso illuminante dei social media. L’autore, che sa che un critico musicale è innanzitutto un giornalista, intravede in questa consapevolezza la via d’uscita ovvero imbracciare anche «le armi del cronista. Gli conviene, oltre che per sopravvivere, poiché i giornali fanno prima a sostituire un critico snob con un giornalista generico che si mette a parlare di musica, piuttosto che il contrario». Verissimo, così come siamo d’accordo sul consiglio di utilizzare presto e bene proprio quei mezzi di comunicazione con i quali si sta cercando di sostituire il critico e, infine, di ricomporre le divisioni storiche in base al tipo di musica e sapere pronunciarsi su tutta la musica.
Il libro si legge velocemente ed è ottimamente argomentato. Capitoni parla con eleganza dei critici musicali dei grandi quotidiani, ma anche delle riviste specializzate mettendone a fuoco pregi, qualità e limiti. Sino ad arrivare alla panoramica sui critici di Internet, appassionati più o meno competenti che sono fulminei nelle “recensioni” e che, purtroppo per loro, hanno così poco autorevolezza da non riuscire quasi mai ad entrare nelle rassegne stampa degli artisti e dei teatri. Capitoni ha usato il fair play, ma gli artisti e gli addetti stampa hanno imparato a gestire i propri nervi quando vanno a leggere talune “recensioni”. Spesso, sia loro che ovviamente i lettori, hanno la sensazione che se ci siano ad esempio 5 critiche di un concerto, i suddetti estensori siano stati a sentire 5 concerti diversi e qualche volta addirittura musicisti diversi. La soluzione? È quella saggia e condivisibile intravista da Federico Capitoni, riappropriarsi dell’autorevolezza che fa del critico un irrinunciabile interprete e non un mero testimone della scena musicale.
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