Di una filastrocca a lei dedicata si contano perlomeno venti versioni, fra cui quella che dice: “La Befana vien di notte / con le scarpe tutte rotte / con le toppe alla sottana: / viva, viva la Befana!”. Un personaggio arcano il cui fascino e incanto resistono anche nell’epoca in cui le epifanie si rivelano ormai attraverso il web. Le origini di questa festa sono presumibilmente di natura pagana (forse legate ai riti del solstizio d’inverno), ma con l’avvento del cristianesimo, ciò che si è andato chiamando Epifania (Befana deriva, appunto, da una corruzione del termine originario: Pifania, Befania, Befana) ricorda l’incontro dei Re Magi con Gesù bambino e, quindi, la manifestazione al mondo della divinità di Cristo.
La suggestione arcaica e religiosa della ricorrenza si rintraccia pure in diverse pagine letterarie. Guido Gozzano, ad esempio, in una poesiola intitolata “La Befana” offre un lezioso quadretto domestico di bambini “discesi dal lettino” dove “Dori, il più piccino, / accosta il suo visino / alla grande vetrata, / per vedere la sfilata / dei Magi, su nel cielo, / nella notte di gelo”. In un testo del Pascoli, invece, non tutto è così idilliaco, poiché se è vero che dentro una villa stanno le calze piene di doni destinati a tre bambini, altrove, in un casolare, c’è una mamma che ”piange ancora / su quei bimbi senza niente”. La Befana pascoliana è così costretta a prendere atto di una innegabile ingiustizia, infatti “vede e sente… Ciò che vede e ciò che vide: c’è chi piange e c’è chi ride”.
Solenne e pacata è la scena racchiusa nella quartina che conclude “I Magi” di Angiolo Silvio Novaro: “I re portano tesori / su cavalli bardati d’argento, / e i pastori a passo lento / ingenui cuori”. Bella è poi quella “pace nella finzione e nel silenzio” del “Presepe” di Salvatore Quasimodo, in cui “anche i Re Magi nelle lunghe vesti / salutano il potente Re del mondo”.
Perfino il dissipato Gabriele d’Annunzio non resta insensibile al passaggio di una melodia che fa ingigliare la terra: “Cantano tra il fischiare / del vento e per le forre, / i biondi angeli in coro; / ed ecco Baldassarre / Gaspare e Melchiorre, / con mirra, incenso ed oro”. Mentre di ben altra ispirazione saranno le dediche firmate “il befano alla befana” con cui il Vate era solito accompagnare i regali alla sua amante Luisa Baccara.
In questa befana letteraria non può mancare, inoltre, la citazione inaspettata di colei che secondo Winston Churchill è stata la donne che dopo Lucrezia Borgia è vissuta più a lungo a contatto col crimine. Si sta parlando di Agatha Christie, che in un toccante “Augurio” ci dice che “recano i Magi il dono regale, / cantano gli angeli in alto, nel cielo, / annunciano il dono divino d’amore”.
Nel suo dissacrante “Dizionario filosofico” Voltaire non mancherà, invece, di ironizzare sulle credenze popolari e clericali legate all’Epifania (“Tutte queste puerilità non hanno fatto nessun torto alla festa dell’Epifania, che fu dapprima istituita dalla Chiesa greca, come attesta il nome, e in seguito celebrata dalla Chiesa latina”). Mentre, per restare in terra francese e venire ai nostri giorni, la favola storico-filosofica di Michel Tournier dedicata ai Re Magi, ci dirà che i tre Re Magi erano quattro: Gasparre, re innamorato di una schiava bionda; Baldassarre, grande appassionato di arte; il principe Melchiorre, diseredato dal proprio trono; Taorre, principe dello zucchero e prigioniero nelle miniere di sale di Sodoma.
Terminiamo la nostra miniantologia dedicata alla Befana (per eventuali omissioni siamo pronti ad essere redarguiti con il carbone di rito) citando Moravia che così scriveva, verso la metà del secolo scorso, in uno dei suoi racconti romani: “forse ai tempi che Berta filava, Natale, Capodanno e Befana erano feste sul serio, modeste ma sincere”. Ed oggi? Il dibattito in/calza.
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