L'amore non ha bisogno di potere. La lezione di Gianmaria Testa al Festival della Valdorcia

il 12/08/2009 - Redazione

“Mi domandano perché un cantautore scrive sempre di amore. La mia risposta è che per noi uomini comuni l’amore è l’unica cosa che ci fa sentire immortali, e poi l’amore non ha bisogno di potere. Come purtroppo capita a qualcun altro che invece vive solo del suo potere. Sarebbe il caso che cominciasse anche lui ad innamorarsi. Invece di pagare l’amore”. E giù applausi. Inizia così, Gianmaria Testa il suo recital a Pienza per il Festival della Valdorcia sotto la severa facciata del Duomo del Rossellino. E, imbracciata la chitarra, da solo attacca “Dentro la tasca di un qualunque mattino”,  dal suo primo album  Montgolfières, e poi “Gli amanti di Roma”.

La piazza si ferma, quasi rapita e incantata da questa voce vellutata e negli anni sempre più roca. Già dal tardo pomeriggio erano arrivati i suoi fans a Pienza, appositamente per sentirlo cantare in questo scenario unico, da Macerata, Genova e da Roma, ma anche dall’Austria. Due ragazze francesi lo fermano per strada quasi incredule di incontrarlo. Eh, si, perché Gianmaria Testa è ormai un artista apprezzato e amato in tutta Europa, con appassionati che lo seguono ovunque. Sarebbe ora che anche l’Italia, sempre più distratta da veline, gossip e soap, iniziasse a curarsi di chi con la propria voce e le parole fa poesia e regala emozioni.

Emozioni che, di fronte ad una piazza gremita come non mai, non sono mancate. Merito anche dei vestiti minimal jazz con cui le canzoni venivano proposte, con il contrabbasso di Nicola Negrini, e Piero Ponzo, clarinettista storico di Testa: “La tua voce”, “Voce di gesso”, “Un aeroplano a vela”, “L’automobile”, dedicata alla vecchia Fiat 500. Momento centrale poi dedicato all’ultimo album, “Da questa parte del mare” (Targa Tenco 2007) in cui racconta le storie, i pensieri, i tragici destini dei tanti immigrati che “affrontano questo piccolo lago che è il Mediterraneo e poi muoiono o se arrivano da noi vengono considerati criminali”.

La serata scorre rapidamente. Nei bis c’è tempo per un omaggio a De André (Hotel Supramonte) e per una straordinaria “Miniera”, canzone del 1927 che racconta la tragica fine di un emigrante italiano in Messico. Il messaggio è chiaro. Speriamo che qualcuno che ha potere abbia modo di ascoltarlo. E di capirlo. E di agire conseguentemente. In una serena notte d’estate, nella città ideale voluta da Pio II tutto è sembrato possibile.

Michele Taddei

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