In tema di Shoah. Meditate che questo è stato

il 04/11/2013 - Redazione

Nel romanzo di Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, c’è una pagina indimenticabile. Siamo nel 1938, l’anno dell’emanazione delle leggi razziali. Tutta la famiglia è festosamente riunita a tavola per la celebrazione della pasqua ebraica. Si sta cantando uno di quei canti che il rito, scandito da una sorta di pedagogia dottrinale, dedica ai bambini; e che in cuore agli adulti risuona come lo struggimento di una nostalgia atavica. Improvvisamente squilla il telefono, qualcuno va a rispondere, ma nessuna voce è all’altro capo. Una, due volte. Non c’è interlocutore. Solo un mutismo minaccioso, vigliacco. Da quel subdolo avvertimento che oltraggia la festa, i sentimenti, l’intimità della casa si giungerà fino all’orribile epilogo: cinque anni dopo i Finzi-Contini saranno deportati nei campi di concentramento nazisti, a morire dentro il più inenarrabile paradosso della storia.

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