“In Libia è in atto una guerra coloniale”. Parla Massimo Borgogni, professore di storia militare

il 28/03/2011 - Redazione

La guerra è cambiata enormemente rispetto al secondo conflitto mondiale ma è cambiato in pari maniera il modo di raccontarla. E’ da questa constatazione che quella conversazione iniziata sui libri e sui diari di guerra con Massimo Borgogni, professore di storia militare all’Università di Siena, si è spostata inevitabilmente sui fatti di attualità attinenti alla guerra in Libia. Ciò che ne è emerso, oltre all’intervista, è un’analisi attenta e ragionata, anche fuori le righe se vogliamo, ma d’interesse per le motivazioni e le spiegazioni militari e geopolitiche addotte.

“Credo che siano stati fatti degli errori grossissimi per la guerra in Libia. Gheddafi è sempre stato visto come un terrorista, un nemico del mondo occidentale. Nel momento in cui al Qaeda comincia ad espandersi Gheddafi comincia ad aver paura ed abbandona alcune sue posizioni contro l’occidente. Basti pensare alle fabbriche di armi chimiche e nucleari smantellate di fronte agli occhi dei francesi e degli inglesi. Tutto questo perché aveva capito che l’unico modo per sopravvivere, era mettersi dalla parte dell’occidente staccandosi dall’estremismo islamico. L’Italia ha sempre avuto un rapporto privilegiato con la Libia per questioni puramente legate alle fonti energetiche. Ma era pronosticabile che un’esplosione di tutto il mondo arabo del nord Africa arrivasse anche in Libia. Il Governo Italiano ha fatto il grande errore di rimanere passivo quando invece era forte di un rapporto privilegiato con la Libia. E’ mancata una diplomazia efficiente in grado di uscire dalla cerchia dell’Unione Europea. L’altro sbaglio è quello di far credere ai cittadini italiani che il nostro Paese mantenga un livello di credibilità internazionale elevato quando invece non è vero”.
Poteva dunque essere gestita in maniera diversa la questione libica?
“Assolutamente sì. Proprio sulla base di un rapporto privilegiato nel momento in cui il regime è stato messo in discussione il Governo italiano avrebbe dovuto muoversi immediatamente trattando da una parte con Gheddafi per convincerlo ad abbandonare la posizione rigida che ha assunto, dall’altra anche con i ribelli, per motivi umanitari. Invece siamo rimasti fermi. La diplomazia italiana è rimasta al palo”.
Perché è successo questo?
“Non so se per incapacità del nostro Presidente del Consiglio e del Ministro degli Esteri, o se sono stati influenzati dallo stretto legame di amicizia tra i due stati o se sono stati invece condizionati dalle vicende interne al Governo. Fatto sta che se l’Italia si fosse imposta fin da subito come Paese occidentale democratico baluardo dell’integrità libica, sarebbe stato solo nel segno della continuità dei buoni rapporti diplomatici che inetrcorrono tra Italia e Libia da Mattei ai giorni nostri. Oggi la Libia rischia di essere divisa in due parti scontentando i ribelli da una parte e Gheddafi dall’altra. Inutile poi che l’Italia sia ripagata da questa campagna militare con pagliativi per la gente che guarda la televisione a bocca aperta e che non capisce. Questa volontà di far credere che l’Italia abbia un ruolo importante è una bugia. Il ruolo dell’Italia in Libia è di giorno in giorno sempre più piccolo”.
Quanto al discusso ruolo della Francia cosa mi dice?
“Sarkozy ha bisogno di rafforzare la sua immagine all’interno del suo Paese ed ha capito che la politica americana con il presidente Obama è cambiata ed è diventata un po’ più riluttante all’interventismo. La stessa cosa l’hanno capita anche gli inglesi. Non è un caso che alla fine dell’estate dell’anno scorso Francia e Inghilterra, le due potenze che detengono le armi nucleari, hanno dato un colpo mortale ai sogni di costruire un esercito europeo integrato facendo un accordo militare impegnandosi nell’aiuto reciproco. Francia e Inghilterra potrebbero poi aver visto la possibilità di accaparrarsi una parte delle risorse energetiche presenti in Libia in un momento in cui la debolezza del nostro Paese sono palesi sia per motivi economici che per vicende interne. C’è anche chi sostiene, ma questo è tutto da confermare, che un esule libico, un uomo molto vicino a Gheddafi, era andato in visita a Parigi dove è stato visto più volte all’Eliseo a parlare con Sarkozy. Gheddafi ha emanato un mandato d’arresto per quest’uomo ma lui è rimasto a Parigi protetto dalla diplomazia francese. Qualcuno sostiene che proprio quest’uomo abbia messo in piedi in maniera un po’ strumentale la rivolta dei ribelli libici. Quello che è certo è che Sarkozy ha giocato d’anticipo”.
Ma ci saranno anche delle ragioni interne alla Libia per cui si è giunti a questa situazione…
“La Cirenaica è sempre stata più sensibile alle influenze dell’Islam rispetto alla Tripolitania fin dai tempi della resistenza contro l’Italia con la setta dei Senussi. Queste zone hanno avuto un rapporto da sempre un po’ particolare con Gheddafi ed adesso è riemerso”.
Quali sono i rischi per l’Italia?
“Difficile da pronosticare. Dipende dal quadro evolutivo della situazione. Innanzi tutto c’è la possibilità di un accordo, la Libia si spezzerebbe in due e in tal caso noi non avremmo risorse energetiche ne dalla Cirenaica ne dal nuovo governo libico soppiantati invece dai francesi. Questo scenario sarebbe per l’Italia disastroso in termini economici. Altrimenti potrebbe verificarsi una guerra lunga, non un’odissea ma addirittura un’Iliade e, anche se non credo, in tal caso le conseguenze per l’Italia sono difficilmente pronosticabili. Credo comunque che arriveremo presto ad un intervento delle truppe di terra a meno che Gheddafi non faccia un passo indietro. Mi sembra di essere tornato, per certi versi, alle guerre coloniali, la rivincita delle medie potenze dopo la crisi di Suez del 1956”.

Cristian Lamorte

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