Torquato Gazzilloro, un poeta ottocentesco scomparso in Cina in circostanze misteriose e la sorella Titina, anch’essa poetessa, svanita nel nulla all’apice del successo. A ricostruirne vita e opere lo scrittore senese Renzo Butazzi che, con la verve dell’accademico convinto, ha realizzato un saggio, Il silenzio dell’uovo (Sagoma Editore), su queste due strampalate figure letterarie, sostenuto dalla Società Parapoetica Italiana e dal Centro Vaticano per l’Esorcismo dei prolassi verbali nonché patrocinato dal Sovrano Ordine dei Riesumatori Letterari. Oltre alle surreali poesie, la pubblicazione propone anche una bibliografia che rasenta l’assurdo. L’opera dei fratelli Gazzilloro è analizzata con una serietà tale che pagina dopo pagina, tra una risata e l’altra, sono caduta anche io nel dubbio di non aver capito se questi bizzarri poeti siano esistiti davvero. Non posso dunque esimermi dal chiederlo a Renzo Butazzi, conosciuto per le sue collaborazioni con Tango, Cuore, Satyricon e Comix.
Torquato e Titina Gazzilloro sono in un certo senso esistiti davvero?
“No, sono pura invenzione. Dapprima mi sono venute di getto le poesie e le rime. Poi, altrettanto di getto, ho deciso che il mio poeta si sarebbe chiamato Gazzilloro. Il gazzilloro, lo scarabeo con la corazza dorata, è quanto di più senese ci sia nel libro e fin da ragazzo ho sempre pensato che sarebbe stato un cognome perfetto”.
Come le è venuto in mente di scrivere questo libro?
“Non c’è stato un progetto alla base. Fin dal 1977 mi sono interessato di poesie “nonsense”. Ne avevo scritte alcune che avevo pubblicato a firma del Gazzilloro su una rivista di letteratura bizzarra e paradossale chiamata Il caffé. Hanno avuto un certo successo e questo mi ha spronato ad andare avanti. Mi venivano facilmente, mi divertivo nello scriverle e siccome l’appetito viene mangiando ho pensato di costruirci sopra un libro. Mi è venuta così l’idea di approfondire la vita di Torquato Gazzilloro e di inventare anche una fantomatica sorella poetessa, Titina, su sui ho sviluppato il tema della psicanalisi da supermercato”.
Si è ispirato al genere “nonsense” tipico della letteratura inglese dell’800?
“La mia idea era di associare poesie senza senso ad uno studio di note e di discorsi che invece ne determinassero uno. Per la verità mi sono accorto solo in un secondo momento che questa mia idea era legata ai concetti espressi da Marcel Bénabou, cofondatore di OULIPO, Ouvroir de Littérature Potenzielle (Laboratorio di letteratura potenziale), un gruppo di scrittori e matematici di lingua francese che mira a creare lavori usando, tra le altre, tecniche di scrittura vincolata. La loro attenzione si concentra proprio sull’invenzione di nuove costrizioni in grado di guidare e stravolgere il processo creativo da cui ha origine l’opera letteraria. Ho ragionato quindi sul fatto che proprio le poesie senza senso dei Gazzilloro potevano costituire un vincolo e che su questo vincolo avrei potuto scrivere note che avessero un senso”.
A proposito delle note, sono esilaranti…
“Ho studiato letteratura italiana, il latino, i classici pieni di note che mi sono rimaste un po’ sullo stomaco. Ho deciso allora di utilizzarle in maniera ironica, per esorcizzare “l’indigestione”. Mi sono divertito ad inventare giocando con le parole anche i nomi degli studiosi, dei loro saggi e degli editori che li hanno pubblicati. Il sedicente psicologo Ulderico Amal, ad esempio, altro che non è che lo pseudonimo di un dottore che anni fa teneva una rubrica su La domenica del Corriere grazie al quale mi facevo sempre grasse risate considerati i suoi consigli per lo più banali”.
Il silenzio dell’uovo, perché questo titolo?
“In realtà il libro era intitolato Torquato e Titina Gazzilloro poeti di mestiere ma l’editore ha ritenuto fosse un titolo poco commerciale. Visto che molte delle poesie scritte da Torquato nel periodo “Il silenzio delle cose” sono dedicate proprio all’uovo che non parla mai, abbiamo optato per un titolo a effetto. L’uovo di per sé comunque mi piace, ha una forma che mi affascina: ovale, completa, racchiusa in se stessa”.
Alla base del suo libro c’è una buona dose di ironia. Pensa che in Italia oggi ci sia ancora posto per la satira?
“Secondo me non porta molto lontano. In Italia credo l’ironia sia poco gradita; sono preferiti lo scherzo, l’umorismo immediato. L’ironia è più sottile, va capita e se qualcuno la capisce rischia poi di offendersi. Essere presi per i fondelli scherzando apertamente piace un po’ a tutti. Essere presi in giro in modo insinuante invece destabilizza e fa arrabbiare”.
Simona Trevisi
SOTTO TORCHIO
LIBRO E AUTORE PREFERITO
“David Copperfield” di Charles Dickens
L’ULTIMO LIBRO LETTO
“Il lamento del bradipo” di Sam Savage
IL LIBRO DA CONSIGLIARE AI LETTORI
“Cuore” di Edmondo De Amicis
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