“In Italia l’alcolismo è argomento tabù”, parla Violetta Bellocchio autrice de “Il corpo non dimentica”

il 22/04/2014 - Redazione

In un paese come l’Italia, conosciuto in tutto il mondo per i propri prodotti alcolici, il problema dell’alcolismo resta un silenzioso spettro che aleggia nella società senza mai essere affrontato. Violetta Bellocchio ha provato a parlarne mettendo a nudo la sua esperienza di vita, in un racconto crudo e sofferto che raccoglie il suo passato da alcolista. Ne è uscito “Il corpo non dimentica”, il racconto di come dai 25 ai 28 anni Violetta abbia perso il controllo della sua vita, ritrovandolo solo dopo aver toccato il fondo.

Qual è stata la genesi di “Il corpo non dimentica”, che tra l’altro ha appena compiuto un mese dalla pubblicazione ed è già alla seconda ristampa?
«Il libro è finito per essere una medicina, ma inizialmente non voleva esserlo. È nato dalla bozza di un saggio ma poi ha preso la forma di un memoriale dal momento in cui ho parlato con l’editor del progetto. Ho cominciato a scriverlo nel 2012, c’è voluto davvero molto tempo per finirlo».
Com’è iniziato il tuo cammino verso l’alcolismo?
«Gli anni duri sono stati tra i 25 e 28 anni, prima ero una persona che beveva molto, solo in seguito è diventato una sorta di secondo lavoro. Mi sono resa conto di essere diventata un’alcolista quando mi sono risvegliata al pronto soccorso di Milano, in quelle che potremmo definire le “celle degli ubriachi”. Sono zone in cui mettono chi deve farsi passare la sbronza. Mi risvegliai lì senza sapere dove fossi e come ci fossi arrivata».
C’è un motivo scatenante in questi casi?
«No, non c’è. Non ha cause materiali, è inutile pensare che possa dipendere da cose come la presenza di casi simili da parte di lontani zii e via dicendo; non ci sono state nemmeno motivi familiari, visto che ho una famiglia meravigliosa».
Il tuo libro è un esempio di “non fiction”, un genere che sta cominciando a crescere, anche se ancora abbastanza di nicchia.
«Penso che ora come ora la non fiction rappresenti più o meno il 30% di quello che viene pubblicato in Italia, ma è una percentuale destinata a crescere. Gli editori si sono resi conto che la saggistica pone dei limiti, invece la non fiction dà per scontato che ci sia un autore che si è posto il problema della leggibilità».
L’alcolismo, e in particolare l’alcolismo femminile, sono temi di cui in Italia non si sente mai quasi parlare. Secondo te per quale motivo?
«Perché non ne sa niente nessuno. Dopo questo libro sono diventata una sorta di “poster girl” dell’alcolismo italiano, forse ho fatto saltare il tappo. Quando sono stata male però non ne parlava nessuno, semplicemente non interessava. Nessuno vuol sentir parlare di alcolismo, penso che una dei motivi sia anche dovuto al fatto che l’Italia ha nella produzione alcolica uno dei suoi punti forti. Il fatto che questo punto forte sia una sostanza in grado di rovinare vite e che porta ad abusarne non interessa, si pensa che sia solo la droga a condurre a quei problemi. Quando ero circondata da gente che si ubriacava ho visto cose molto brutte e ora che ne sto parlando pubblicamente devo ancora vedere prove concrete del fatto che il problema venga affrontato seriamente».
È stato difficile smettere e cosa ti ha convinto?
«Una notte ho dormito con la porta di casa aperta, questo mi ha convinto che era arrivato il momento di fare qualcosa. Smettere in realtà è stato molto facile, più di quanto pensassi. Certamente è meglio non farlo da soli, è sempre una buona idea affidarsi a un terapeuta o a un gruppo di sostegno. È necessario tirarsi fuori dal guscio e affrontare il problema a viso aperto».

Francesco Anichini

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