“Il Paese sta accettando la crisi”, parola del diplomatico e giornalista Sergio Romano

il 30/01/2012 - Redazione

Testimone e protagonista diretto, diplomatico ed editorialista. In poche parole ‘un uomo di storia’. Tutto questo è Sergio Romano, una carriera infinita alle spalle con l’ingresso alla Farnesina nel 1954 e poi proseguita nelle ambasciate di mezza Europa tra Londra, Parigi e Mosca (lasciata nel 1989, anno della caduta dell’ex Unione Sovietica). In Romano si può trovare un osservatore critico e attento di tutti gli eventi che stanno caratterizzando la nostra attualità, un punto di vista lucido e obiettivo sulla realtà sociale, politica ed economica che ha caratterizzato la seconda metà dello scorso secolo fino ad oggi.

Romano, si è da poco concluso il 2011, anno in cui abbiamo celebrato i 150 anni dell’Unità d’Italia. Cosa è rimasto di questi festeggiamenti?
“Non molto di più di quello che potevo aspettarmi. Gli italiani sono generalmente bravi, quando c’è una circostanza importante si sentono coinvolti, un po’ per ragioni di buon senso e un po’ perché la retorica nazionale funziona. Ma non credo che il Paese abbia risolto i suoi problemi semplicemente ricordando bene l’anniversario dell’Unità. Abbiamo gli stessi problemi che avevamo nel 2010”.

Lei ha scritto molti libri di storia. Ci sono riferimenti e situazioni economiche e politiche del passato che ricordano la situazione attuale?
“Non credo. I confronti si possono sempre fare e a volte può essere utile farli. Ma oggi non è possibile perché quella che stiamo vivendo è la prima crisi dell’economia globalizzata. L’economia non è mai stata tanto globalizzata quanto è adesso e non ha mai coinvolto miliardi di esseri umani come ora. Quindi l’aspetto quantitativo, geografico e geopolitico della crisi è totalmente diverso rispetto a quello del passato. Attenzione ai confronti che spesso possono generare errori”.

Sulle pagine dei maggior quotidiani nazionali la tragedia del naufragio della Costa Concordia all’Isola del Giglio. Gli italiani sono noti per essere un popolo di “santi, poeti e navigatori”: ma siamo più Schettino o più Doria?
“In sé e per sé la tragedia di questa nave non significa niente semplicemente perché è un errore umano che fa parte delle statistiche dell’umanità e sono probabilmente il più inevitabile dei fattori di crisi perché il più imprevedibile e quindi inevitabile. Detto questo il potere metaforico della nave affondata è tale, che è impossibile chiedere ai giornalisti di non fare confronti con l’Italia che affoga, che fa naufragio con il capitano della nave che si distrae quando non dovrebbe proprio come alcuni Presidenti del Consiglio hanno fatto. Questo tipo di confronto è inevitabile. Sono abbastanza giornalista per sapere che anche io avrei fatto questi confronti se avessi le spalle al muro e non sapessi di cos altro scrivere”.

Da autore di libri ed editorialista del Corriere della Sera come vede l’avvento degli e-book e dei giornali on line?
“Il libro di carta continuerà ad esistere, è troppo bello troppo utile per essere buttato via. Detto questo il libro on line è destinato ad essere maggiormente diffuso. Pensi solo ai vantaggi per le scuole. Portarsi dietro l’Ipad piuttosto che una cartella piena di libri. Quello che non sappiamo ancora è quanto rimarrà alla carta e quanto all’etere. E’ il confine che conta, perché è sul confine che si possono fare delle previsioni e degli investimenti e quello non lo sappiamo ancora e non lo sapremo fin tanto che sul mercato non ci sarà una nuova generazione interamente nuova, cioè condizionata soprattutto dalle nuove tecnologie e allora gli editori dovranno cominciare a fare dei conti. E quelli che non li avranno fatti per tempo non avranno grandi possibilità di sopravvivere”.

Concludiamo con una domanda sull’attualità. Quale è il suo commento sulla situazione economica del Paese?
“Contrariamente a quello che l’apparenza dice, il Paese sta accettando le conseguenze della crisi. Ci sono proteste di categorie che sono o si ritengono particolarmente colpite dalla crisi ma sostanzialmente mi sembra che il Paese accetti le misure severe rese necessarie dalla crisi più di quanto non accada altrove”.

Andrea Frullanti

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