Suona quasi come un monito quel “solo una partnership euro mediterranea potrà porre europei e arabi dalla parte dei vincitori – e non dei vinti – della globalizzazione” riportato nella copertina de “Il Nuovo Mediterraneo, confine o rinascenza d’Europa”, edito da excelsior 1881, con prefazione di Tarak Ben Ammar e introduzione del generale Carlo Jean. Quella frase è in realtà la sintesi delle 230 pagine del volume, un’attenta analisi geopolitica del “mare nostrum”, e soprattutto una rilettura delle cronaca attraverso le lenti della storia, della quale l’autore, Giancarlo Elia Valori, è appassionato cultore. Nei mesi convulsi della cosiddetta “primavera araba” che sta muovendo masse orfane di ideologie ed élite in difficoltà di interpretarne le esigenze, Valori analizza tali moti inserendoli tra il ruolo strategico delle risorse energetiche di cui tali Paesi dispongono e della fame di gas e petrolio che hanno l’Occidente ma anche la Cina e le economie che tirano nonostante la crisi globale. La rilettura di quanto accade nel Mediterraneo è contemporanea, finalizzata all’interpretazione dei futuro, se non alla sua comprensione. Ma ciò non può avvenire se non attraverso una visione che scavi nel lunghissimo periodo dei secoli in cui il Mediterraneo non era un luogo di contrapposizione tra culture ma una via di comunicazione e di scambio delle essenze e delle opportunità che l’incontro di queste culture ha generato.
Nel mondo greco-romano il Mediterraneo fu un grande lago, vettore di commerci, autostrada di pensiero, idee e valori che correvano con le merci e con gli uomini. La tecnologia attuale, con internet a farla da padrone al posto delle triremi romane, e petrolio e gas al posto di frumento e vini d’Oriente, sono i nuovi oggetti da analizzare per cogliere come determinare nuovi equilibri tra gli stati, magari ricorrendo a strategie che sono vecchie di secoli ed immutabili al passare di essi come le esigenze primarie degli uomini, prima tra tutte quelle della pace e della prosperità. Le tensioni della rivolta panaraba, con Egitto, Libia e Algeria in testa ed i più attuali movimenti siriani, non possono essere facilmente ricondotte ad una univoca spiegazione, ad una sorta di jihad che coinvolga l’intera fascia maghrebina per spostarsi magari nella penisola arabica. Il gioco è più complesso e non può tener conto della politica estera attuata dai colossi già in difficoltà, come gli Usa, e quelli che hanno già accenni di rallentamento di crescita come la Cina. Valori affronta la complessa vicenda algerina da una parte, l’asse geoeconomico rappresentato da Siria, Libano e Iran dall’altra per poi passare sul Mediterraneo stretto tra islamismo e nuovo ruolo degli Stati Uniti.
E’ intuibile come il Mediterraneo si trovi di fronte ad un bivio: essere la soluzione dei problemi di buon vicinato nel mondo rimpicciolito dalla globalizzazione oppure essere il campo di battaglia di un conflitto prossimo venturo. La primavera araba rappresenta un elemento di discontinuità nelle relazioni internazionali tra Occidente e mondo islamico. Relazioni tutte da ricostruire, prima che il grande gioco della geopolitica mondiale torni all’epoca delle Guerra Fredda, con l’aggravante di avere un’Unione Europea come gregario e non come soggetto determinante le scelte di un nuovo ordine mondiale. Tra gli obiettivi del libro c’è il monito al lettore a considerare il Mediterraneo come il luogo di dialogo, tolleranza e convivenza costruttiva tra i seguaci delle tre grandi religioni monoteiste: un traguardo possibile che cristiani, ebrei ed arabi possono tagliare tutti assieme. Soltanto così gli europei e gli arabi potranno cogliere le opportunità offerte loro dalla globalizzazione e non lasciare che il Mediterraneo diventi marginale nello scacchiere internazionale.
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